Corso biblico. Torino
del 15 febbraio 2019.
Le parabole evangeliche
(Appunti presi durante
la conferenza di don Franco Barbero).
Leggiamo la parabola dei
fittaioli malvagi che si trova in Marco 12, 1 – 11, una delle poche
parabole considerate autentiche di Gesù da John Meyer. La stessa
parabola si trova anche in Matteo (21, 33-43) e in Luca (20, 9-18),
ma in forma più breve.
La parabola si compone di
due parti, la prima, fino al v. 8 , risale, secondo il Meyer e la
generalità degli esegeti, sicuramente a Gesù, mentre il prosieguo
(dal v. 9 al v. 11) è frutto della elaborazione della comunità . Il
tema della vigna è ripreso da Isaia 5, il canto della vigna, che è
la metafora dell'amore di Dio per Israele, amore disatteso e tradito,
che provoca lo sconforto di Dio, il quale, tuttavia è paziente, non
si arresta alla delusione, ma mantiene la promessa anche di fronte al
rifiuto.
Qui è condensata tutta la storia di Israele. Marco in
particolare cura i dettagli della costruzione della vigna, per
indicare l'amore e la cura impiegati dal proprietario per costruirla
(12,1). Dal v. 9 è la comunità che si interroga su cosa farà il
padrone della vigna di fronte all'ostilità dei fittavoli e applica
alla propria storia l'insegnamento profetico. Ma qui subentra una
lettura in chiave cristologica.
La lettura ufficiale è ispirata alla
teologia del compimento: il figlio inviato è identificato con Gesù
stesso. Gesù è la parola definitiva, l'ultimo inviato da Dio. E'
una lettura dogmatica ed esclusivista.
E' interessante
il paragone con il vangelo apocrifo di
Tommaso che al loghion 65 riporta la parabola in termini simili a
quella di Marco, ma senza la seconda parte.
Qui Gesù non parla di se
stesso, ma di Dio che accetta anche il rifiuto da parte dell'uomo.
Invece la comunità si pone il problema: che cosa farà il padrone?
Alcuni commentatori come Gnilka e Weber evidenziano che Gesù non
condanna, perché Dio ci chiama, ci aspetta e non chiude la porta
(Curtaz dice che le beatitudini sono un invito permanentemente
aperto), ma è la comunità che l'ha chiusa cedendo ad una
interpretazione integralista.
Anche l'interpretazione della
patristica risente di questo limite: si cede ad una esigenza di
chiusura e di condanna: si dice che il giorno fa scomparire la
notte. Ma secondo una interpretazione rabbinica di corrente non
integralista il giorno esiste a fianco della notte, la vita è
contraddizione e bisogna prenderne atto.
In una visione cosmocentrica
la vigna è il mondo non limitato a Israele o alla chiesa. Da notare
in ultimo che Matteo sottolinea che la vigna verrà data ad altri
contadini che la faranno fruttificare (21,41) particolare assente
negli altri vangeli.
Passiamo ora ad esaminare
la parabola del fico, riportata in Marco 11, 12 – 14 ed in Matteo
24, 32 – 36. Siamo in una dimensione apocalittica, che può avere
due significati: 1 la visione della fine dei tempi, oppure 2 la
visione della distruzione di Gerusalemme da parte dei romani vissuta
come una catastrofe apocalittica. Il testo è stato scritto dopo il
70, quando tale evento si era già verificato. Secondo il Weber ed
altri esegeti, la parabola ha lo scopo di risvegliare le coscienze
della comunità e richiamare all'azione.
Altri richiami apocalittici
sono presenti in Matteo 11,20 e nel capitolo 21. La critica è
rivolta alla religione del tempio: la religione ufficiale non porta
frutti. Gli uomini hanno la possibilità di rendere infecondo il
messaggio (Gutbrod).
Veniamo alla parabola del
portiere riportata in Marco 13, 33 – 37. E' una parabola sulla
responsabilità di stare vigili (Weber) che richiama quella delle
vergini di Matteo 25. E' un richiamo alla comunità che sonnecchia,
un tema proprio dei profeti, specialmente Geremia, ma anche
Ezechiele, che si lamentano di fare prediche inutili perchè il
popolo dorme e non ascolta.
Non si tratta però solo di veglia, ma
anche di attesa, di vigilanza: vivere nell'attesa non è facile
(Gnilka).
Come Mosé visse nell'attesa della terra promessa e dedicò
tutto il suo impegno per raggiungerla, ma non la vide, così per
ciascuno di noi vivere nell'attesa significa già partecipare al
regno, ad un frammento del regno, senza pretendere di possederlo. La
nostra vita è segnata dalla limitazione, la pretesa di totalità
andrà delusa.
Leggiamo infine la
parabola della zizzania, presente solo in Matteo tra i vangeli
canonici (13, 24 – 30 e 36 - 41), ma riportata anche dal vangelo di
Tommaso (loghion 57). Il problema è la presenza del male nel mondo,
di cui bisogna prendere atto, anche se convivere con il male comporta
fatica.
Siamo agli antipodi della posizione gnostica, che mira alla
perfezione degli eletti, in una visione dell'uomo in cui il corpo è
svalutato e la materia è cattiva e condannata all'annientamento. Al
polo opposto si pone la posizione ebraica, per la quale il male è
insito nell'uomo e chi vuole la perfezione tradisce l'umanità. La
storia insegna che quando in una società si persegue la perfezione,
iniziano gli abusi.
La parabola insegna che in questa vita non si può
sfuggire alla compresenza del bene e del male (Weber), che la
saggezza consiste nel fare un cammino, ma non pensare di potere
raggiungere la perfezione. Certo occorre pazienza e viene la
tentazione di chiedersi perché Dio non intervenga per eliminare il
male. Anche in questa parabola, poi, ricorre il tema della vigilanza:
il male si insinua “mentre tutti dormono” (v. 24). Una
particolarità di Matteo: parla di Regno dei cieli come Marco, forse
per la ritrosia ebraica di nominare il nome di Dio.
Guido Allice