mercoledì 27 febbraio 2019

UN AIUTO PER RICORDARE

Corso biblico. Torino del 15 febbraio 2019.
Le parabole evangeliche
(Appunti presi durante la conferenza di don Franco Barbero).

Leggiamo la parabola dei fittaioli malvagi che si trova in Marco 12, 1 – 11, una delle poche parabole considerate autentiche di Gesù da John Meyer. La stessa parabola si trova anche in Matteo (21, 33-43) e in Luca (20, 9-18), ma in forma più breve.
La parabola si compone di due parti, la prima, fino al v. 8 , risale, secondo il Meyer e la generalità degli esegeti, sicuramente a Gesù, mentre il prosieguo (dal v. 9 al v. 11) è frutto della elaborazione della comunità . Il tema della vigna è ripreso da Isaia 5, il canto della vigna, che è la metafora dell'amore di Dio per Israele, amore disatteso e tradito, che provoca lo sconforto di Dio, il quale, tuttavia è paziente, non si arresta alla delusione, ma mantiene la promessa anche di fronte al rifiuto. 
Qui è condensata tutta la storia di Israele. Marco in particolare cura i dettagli della costruzione della vigna, per indicare l'amore e la cura impiegati dal proprietario per costruirla (12,1). Dal v. 9 è la comunità che si interroga su cosa farà il padrone della vigna di fronte all'ostilità dei fittavoli e applica alla propria storia l'insegnamento profetico. Ma qui subentra una lettura in chiave cristologica. 
La lettura ufficiale è ispirata alla teologia del compimento: il figlio inviato è identificato con Gesù stesso. Gesù è la parola definitiva, l'ultimo inviato da Dio. E' una lettura dogmatica ed esclusivista. 
E' interessante il paragone con il vangelo apocrifo di Tommaso che al loghion 65 riporta la parabola in termini simili a quella di Marco, ma senza la seconda parte. 
Qui Gesù non parla di se stesso, ma di Dio che accetta anche il rifiuto da parte dell'uomo. Invece la comunità si pone il problema: che cosa farà il padrone? Alcuni commentatori come Gnilka e Weber evidenziano che Gesù non condanna, perché Dio ci chiama, ci aspetta e non chiude la porta (Curtaz dice che le beatitudini sono un invito permanentemente aperto), ma è la comunità che l'ha chiusa cedendo ad una interpretazione integralista. 
Anche l'interpretazione della patristica risente di questo limite: si cede ad una esigenza di chiusura e di condanna: si dice che il giorno fa scomparire la notte. Ma secondo una interpretazione rabbinica di corrente non integralista il giorno esiste a fianco della notte, la vita è contraddizione e bisogna prenderne atto. 
In una visione cosmocentrica la vigna è il mondo non limitato a Israele o alla chiesa. Da notare in ultimo che Matteo sottolinea che la vigna verrà data ad altri contadini che la faranno fruttificare (21,41) particolare assente negli altri vangeli.
Passiamo ora ad esaminare la parabola del fico, riportata in Marco 11, 12 – 14 ed in Matteo 24, 32 – 36. Siamo in una dimensione apocalittica, che può avere due significati: 1 la visione della fine dei tempi, oppure 2 la visione della distruzione di Gerusalemme da parte dei romani vissuta come una catastrofe apocalittica. Il testo è stato scritto dopo il 70, quando tale evento si era già verificato. Secondo il Weber ed altri esegeti, la parabola ha lo scopo di risvegliare le coscienze della comunità e richiamare all'azione.
 Altri richiami apocalittici sono presenti in Matteo 11,20 e nel capitolo 21. La critica è rivolta alla religione del tempio: la religione ufficiale non porta frutti. Gli uomini hanno la possibilità di rendere infecondo il messaggio (Gutbrod).
Veniamo alla parabola del portiere riportata in Marco 13, 33 – 37. E' una parabola sulla responsabilità di stare vigili (Weber) che richiama quella delle vergini di Matteo 25. E' un richiamo alla comunità che sonnecchia, un tema proprio dei profeti, specialmente Geremia, ma anche Ezechiele, che si lamentano di fare prediche inutili perchè il popolo dorme e non ascolta.
 Non si tratta però solo di veglia, ma anche di attesa, di vigilanza: vivere nell'attesa non è facile (Gnilka). 
Come Mosé visse nell'attesa della terra promessa e dedicò tutto il suo impegno per raggiungerla, ma non la vide, così per ciascuno di noi vivere nell'attesa significa già partecipare al regno, ad un frammento del regno, senza pretendere di possederlo. La nostra vita è segnata dalla limitazione, la pretesa di totalità andrà delusa.
Leggiamo infine la parabola della zizzania, presente solo in Matteo tra i vangeli canonici (13, 24 – 30 e 36 - 41), ma riportata anche dal vangelo di Tommaso (loghion 57). Il problema è la presenza del male nel mondo, di cui bisogna prendere atto, anche se convivere con il male comporta fatica. 
Siamo agli antipodi della posizione gnostica, che mira alla perfezione degli eletti, in una visione dell'uomo in cui il corpo è svalutato e la materia è cattiva e condannata all'annientamento. Al polo opposto si pone la posizione ebraica, per la quale il male è insito nell'uomo e chi vuole la perfezione tradisce l'umanità. La storia insegna che quando in una società si persegue la perfezione, iniziano gli abusi. 
La parabola insegna che in questa vita non si può sfuggire alla compresenza del bene e del male (Weber), che la saggezza consiste nel fare un cammino, ma non pensare di potere raggiungere la perfezione. Certo occorre pazienza e viene la tentazione di chiedersi perché Dio non intervenga per eliminare il male. Anche in questa parabola, poi, ricorre il tema della vigilanza: il male si insinua “mentre tutti dormono” (v. 24). Una particolarità di Matteo: parla di Regno dei cieli come Marco, forse per la ritrosia ebraica di nominare il nome di Dio. 
Guido Allice