Le
riflessioni che qui propongo vogliono esprimere prima di tutto l'amore
crescente che lega la mia vita alla persona e al messaggio di Gesù di
Nazareth.
Nello stesso tempo, con queste righe, desidero accennare al
"processo" che il mio cammino di fede, sulla scorta di tanti studi
affrontati negli ultimi cinquant'anni, ha compiuto rispetto alla
comprensione di Gesù e dell'opera che Dio ha realizzato in lui. Anche un
teologo tutt'altro che rivoluzionario come N.T. Wright scrive che "se
vuole essere autenticamente Chiesa, ogni generazione deve misurarsi da
capo con le sue radici bibliche" (Gesù di Nazareth, Claudiana.,
Torino 2003, pag. 24). Lo stesso autore riconosce che quando, dopo
vent'anni di seri studi su Gesù storico, pronuncia credi cristiani "ora
intende qualcosa di molto diverso con essi ( ivi pag. 116).
La
parte vitale del compito cristologico contemporaneo consiste
"nell'imparare a parlare autenticamente del Gesù terreno e del suo senso
di vocazione; dobbiamo imparare a parlare biblicamente alla luce di
questo Gesù, dell'identità dell'unico vero Dio" (pag. 115).
Oggi
mi sembra urgente "imparare altri linguaggi" e fare uscire Gesù dalla
nebulosa di una dogmatica diventata astratta.
Mentre la tradizione parla
molte lingue e le teologie esprimono una straordinaria pluralità di
accenti, il potere ecclesiastico ha espresso nel Catechismo della Chiesa cattolica
una riduzione di Gesù alle dogmatizzazioni che si sono affermate da
Nicea a Calcedonia. Ma esse "frappongono un ulteriore cortina, sempre
più spessa, tra Gesù e le successive generazioni dei credenti. Esse sono
il grande permanente ostacolo all'incontro con il Gesù della storia"
(Ortensio da Spinetoli). Così ci troviamo non solo davanti al "naufragio
della ortoprassi" ( Josè M. Diez Alegria) ma anche imprigionati
nell'assolutismo dogmatico. Secondo certi guardiani del sacro e custodi
dell'ortodossia la chiesa da comunità interpretante deve diventare
comunità obbediente.
Franco Barbero