lunedì 18 marzo 2019

PER INTERPRETARE

La formula ‟Io sono“

 Le origini della formula sono probabilmente bibliche, più uno sviluppo avvenuto nel periodo postmaccabaico. L'espressione ebraica ani hu («Io sono»; nella versione greca dei LXX: ego eimi) è un segnale che precede un’autodichiarazione divina. Particolarmente caratteristico del Deutero-Isaia, questo segnale stilistico registra importanti presenze anche nel Pentateuco e nei profeti (cfr. Gen. 28,13.15; Es. 3,14; 20,1-5; Is. 45,5.6.18; 46,9). In questi passi l’ «Io sono»  sottolinea l'unicità e la maestà di Dio e, parimenti, la scelta d’Israele dovuta all'amore del Signore. Quel che più conta e ci si deve chiedere è se, usando questa formula, Giovanni intenda attribuire a Gesù una natura divina dello stesso livello dell’essere Dio. Il passo di Es. 3,14 (nella versione dei LXX) sembra essere chiaramente a monte di Giov. 8,58 e Is. 43,10-11 sembra costituire lo sfondo di Giov. 8,24.28. Entrambi i passi offrono, come nessun altro testo, paralleli unici dell'uso assoluto di «Io sono». Mentre è vero che l'uso giovanneo della formulazione seguita da un predicato corrisponde a quegli esempi nelle Scritture ebraiche dove il Signore è chiamato salvatore (Is. 42,11), custode (Is. 27,3) e guaritore d’Israele (Es.15,26), perché l'evangelista fa compiere Gesù la medesima opera salvifica di Dio, sarebbe un errore vedere nella formula «Io sono», usata in senso assoluto (Giov. 8,24.28 .58), l'affermazione di una identificazione con Dio.
  Ovviamente, gli ascoltatori di Gesù potrebbero aver capito l'espressione in quel modo e il vangelo registra che, effettivamente, lo hanno fatto (cfr. 8,50; 10.31-33). Ma Giovanni è talmente chiaro nell’insistere che Gesù è il rivelatore di Dio dell'età finale, che egli è uno che viene da lassù e può parlare di Dio soltanto come egli fa (cfr. 3,11; 8,26; 12,49), che sarebbe sbagliato vedere un abbandono di quello schema  nell'uso con assoluto di «Io sono». In questo caso, come del resto altrove, il Figlio non fa che affermare una sua intimità assoluta con il Padre. Egli ha unicamente il mandato di consegnare un messaggio da parte di Colui che lo ha mandato. Egli dà un accesso unico a Dio essendo stato scelto come unico tramite di salvezza per chiunque ascolti la sua voce. La «pienezza originaria e inesauribile» (SCHNACKENBURG, pp. 2 e 88) di Gesù è sufficiente per giustificare il suo alto titolo cristologico. Mentre alcuni pochi pensano che il modello dei detti di Gesù formulati in prima persona, cioè con «io» risalga al Gesù storico, è molto più probabile che esso derivi - sia nella forma col predicato sia in quella assoluta - dall'uso che se ne faceva nelle primissime liturgie del culto cristiano“.
Gerard Sloyan, Giovanni, Claudiana ag. 143