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I silenzi e i dilemmi di Pio XII. Finalmente l’apertura degli archivi
L’apertura
completa dell’archivio vaticano relativo al pontificato di Pio XII è
notizia di grande importanza che è stata sottovalutata sia in ambienti
cattolici che laici. È un fatto molto positivo e più importante per
aperture analoghe degli archivi di altri papi. Infatti Pio XII era uomo
molto accentratore e per definizione papa diplomatico. Di conseguenza
moltissimo, in modo diretto o indiretto, dipendeva solo da lui, inoltre è
noto che egli praticamente svolse anche le funzioni di segretario di
Stato (il Card. Maglione ebbe un ruolo minore e solo fino all’agosto del
1944). Inoltre il suo fu un pontificato in un periodo assolutamente
straordinario in presenza di una guerra più complessa e generale di
quella del '15-'18, con fortissime componenti ideologiche inedite
(nazismo, comunismo). La comprensione e le interpretazioni delle
decisioni di allora di papa Pacelli influenzano ancora oggi e
direttamente la politica e la cultura soprattutto per la questione
relativa al suo atteggiamento nei confronti della Shoah sul quale il dibattito e le ricerca continuano da sempre.
La Commissione paritetica vaticano-ebraica
Si ricorderà che negli anni ’99-‘2000, nel clima di
dialogo avviato dal Concilio, fu istituita una commissione di storici
vaticano-ebraica paritetica (tre e tre) con il compito di dare un
contributo importante ad accertare i fatti a partire dall’esame degli
undici volumi degli “Actes et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale”
resi pubblici dal 1965 in poi. La speranza, un po’ ingenua, da parte
del Vaticano, era di chiudere la questione di comune accordo. Non fu
così. Gli storici finirono i lavori ponendo ben 47 domande (vedi il
testo integrale su Adista del 20.XI.2000) molto impegnative
sulla posizione del papa, in buona parte relative a sollecitazioni che
gli arrivavano da ogni dove perché intervenisse sullo sterminio degli
ebrei. I documenti contenuti negli “Actes” erano giudicati del
tutto insufficienti. Inoltre gli storici, chiedendo l’apertura completa
degli archivi, sottolineavano che il problema del silenzio sulla Shoah non poteva che essere inquadrato nella posizione più generale del papa sulla guerra.
La conoscenza dei fatti ma il “ad maiora mala vitanda”
Poco prima della conclusione dei lavori della Commissione
era uscito un ponderoso volume del noto storico Giovanni Miccoli, “I
dilemmi e silenzi di Pio XII” (aprile 2000). Il testo è
documentatissimo. Dubito che sulla questione della posizione di papa
Pacelli sulla Shoah possano emergere documenti veramente
significativi che modifichino l’opinione che traspare nel libro, anche
se Miccoli ha potuto usare solo di fonti incomplete. Le conclusioni che
emergono da questo testo sono: la S. Sede e il papa erano molto ben
informati dall’inizio di tutto quanto il Reich organizzava nei
confronti degli ebrei. La rete dei vescovi e quella di base del mondo
cattolico furono una fonte attendibile ed efficace. Probabilmente il
Vaticano aveva informazioni in quantità e qualità maggiori di ogni altro
soggetto presente sullo scenario della guerra. Secondo punto acquisito:
Pacelli era fortemente consapevole della questione e, probabilmente,
molto coinvolto ma tacque sullo sterminio (il silenzio fu
particolarmente pesante per i due episodi sotto le mura del Vaticano,
quello della retata al ghetto del 16 ottobre ‘43 e quello delle Fosse
Ardeatine nel marzo del ‘44). La giustificazione del silenzio era quella
del “ad maiora mala vitanda”, il papa temeva che se avesse
parlato le cose sarebbero andate ancora peggio. Resta il grande
interrogativo su questa sua decisione che rimarrà in modo permanente
anche dopo l’apertura degli archivi nel marzo dell’anno prossimo. Gli si
può aspramente rimproverare questa posizione? Il volume di Miccoli non
si sofferma, perché estraneo alla sua ricerca, sull’aiuto che sia il
Vaticano che tante organizzazioni cattoliche diedero, anche per diretto
impulso del papa, in maniera consistente e diffusa ad ebrei e a
perseguitati nella stessa città di Roma e altrove (questo è un punto del
tutto accertato e non contestato).
I cattolici in Germania
Il valore del libro di Miccoli per noi oggi è quello di
avere scavato nel retroterra culturale e religioso del mondo cattolico e
del Vaticano per capire (non per giustificare) il silenzio sulla Shoah
e su altre efferatezze della guerra. Un primo aspetto riguarda la
situazione tedesca. Alcuni capisaldi della dottrina nazista – ordine,
ritrovato orgoglio nazionale, rivendicazione della sanità della stirpe
contro la corruzione delle democrazie e contro l’ateismo bolscevico – erano abbastanza condivisi nel mondo cattolico conservatore, soprattutto nei Land cattolici (Baviera…), l’enciclica Mit Brennender Sorge di
Pio XI contro il nazismo fu accolta tiepidamente, le opinioni della
gerarchia furono di sostanziale ma blando consenso oppure di
sopportazione, le opinioni critiche furono soprattutto rivolte a
violazioni dei diritti della Chiesa che lo stesso Pacelli cercò di
tutelare con il Concordato firmato da lui, come segretario di Stato, col
vicecancelliere Von Papen (conservatore e cattolico) del nuovo governo
nazista nel luglio del ’33. Ci furono le denuncie del Card. Von Galen,
del gruppo della Rosa Bianca e della Chiesa confessante (in campo
protestante) e altro. Furono situazioni di grandissimo valore etico ed
evangelico ma isolate politicamente sullo scenario globale.
La cultura cattolica e la neutralità diplomatica di Pio XII
Ma altre strutture mentali condizionavano tutto
l’approccio del papa e del suo entourage alla condizione di guerra con
cui dovevano fare i conti. Anzitutto l’anticomunismo, dopo quanto
successo negli anni trenta nell’URSS, dominava i ragionamenti. Un blocco
d’ordine contro il bolscevismo nel centro dell’Europa era sempre nei
pensieri di chi guidava la Chiesa e ciò non era molto in sintonia con
l’alleanza antinazista che, in quel periodo, comprendeva i russi.
Inoltre era ricorrente la convinzione che la guerra fosse niente altro
che un castigo per l’umanità che si era allontanata da Cristo. Poi la
guerra giusta era contemplata dalla dottrina e giustificava chi la
facesse a tutela della propria patria, della propria famiglia, della
propria stirpe (ciò portava ad accettare entrambi gli eserciti che si
combattevano!!). E quanto non ha contato l’intreccio subliminale fra
antisemitismo di radice cattolica ed antisemitismo nazista? Il papa
doveva essere padre di tutti che chiedeva ascolto da tutti in nome del
suo mandato divino. Pio XII, sicuramente con molti tormenti interiori e
dubbi, giunse così a praticare quella neutralità diplomatica che ci
appare come la caratteristica precipua del suo atteggiamento generale
durante la guerra. Questa via diplomatica gli permise contatti a tutto
campo ma, da quanto sappiamo già (e dagli altri testi che aspettiamo di
leggere) si può ipotizzare che l’ascolto che egli otteneva in tanti
colloqui, relazioni, note ecc… non servissero che ad ottenere che egli
non si schierasse da una parte o dall’altra o che non attivasse il
popolo cattolico in modo diverso da quello che la mobilitazione bellica
richiedeva sotto i diversi fronti. Forse Pio XII si illudeva di rimanere
punto di riferimento per tutti, di preservare il ruolo della Chiesa per
il dopo, di proteggere nel frattempo l’esistenza delle strutture della
Chiesa. Oppure si aspettava, come traspare da qualche testo, che la
responsabilità di reagire spettasse in prima persona a quei vescovi e a
quei laici che chiedevano di intervenire con la denuncia del male e che
si aspettavano un intervento al massimo livello, abituati com’erano alla
rigida struttura gerarchica della Chiesa.
Un silenzio che pesa nella storia della Chiesa
In conclusione, ci fu da una parte il “pensare
comune” su queste tematiche diffuso nel mondo cattolico (riassunto in
Pio XII) che verrà superato solo col Concilio, dall’altra l’abisso che
si creò tra le ambizioni di Pacelli di voler essere padre di tutti,
formalmente ascoltato un po’ da tutti ma silenzioso sulle stragi e "le
situazioni oggettive del genocidio sistematico, degli stermini di massa,
mentre erano ancora in campo operanti ed efficaci, propagandati e
difesi, concetti e valori (patria, nazione, autorità) che facevano
militare molti cattolici a sostegno di chi quegli stermini stava
praticando” (Miccoli). In questo modo Pio XII, al di là della sua ovvia
buona fede e buona volontà, ha perso il suo ruolo di guida del popolo
cristiano e anche di testimone del Vangelo.
Roma, 8 marzo 2019 Vittorio Bellavite, coord. nazionale NOI SIAMO CHIESA
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