AA.VV..
Dieci parole chiave su Gesù di Nazareth, Cittadella, Assisi 2002,
pagg.448, Euro 31,50.
Il
volume, a cura del teologo spagnolo Juan José Tamayo-Acosta, riporta
alcuni studi di teologia della liberazione e di teologia femminista
sempre con una marcata attenzione all’orizzonte etico.
Dopo
una veloce rilettura delle tappe della ricerca sul Gesù della
storia, gli Autori convergono sul fatto che le “formule”
rischiano di imprigionare Gesù in una scatoletta
dogmatica. “Credo
che oggi siamo in grado di sapere quanto basta per affermare che Gesù
fu agli occhi dei suoi contemporanei, come dice lo studioso M.
Quesnell, una personalità fuori dal comune, la cui vita fu guidata
da una vocazione eccezionale” (pag. 101). “La
maggior parte dei titoli attribuiti a Gesù nei vangeli non
provengono dal Gesù della storia, ma sono sviluppi cristologici
della comunità primitiva” (pag.
102) che non sono scaturiti dal nulla, ma dal tentativo delle origini
cristiane di illustrare, con questi linguaggi e con queste metafore,
la funzione di Gesù e la sua singolare intimità con Dio. Quando
Gesù “ha fatto riferimento a Dio, lo ha fatto come ragione,
fondamento e riferimento ultimo della sua prassi” (pag. 199). In
ogni caso si tratta di “una intimità con Dio che non è identità”
(pag. 202) con Dio.
In
seguito, per indicare questa intimità, la tradizione cristiana,
assumendo categorie filosofiche greche, parlò di unione ipostatica:
“Espressione che acquisisce senso soltanto nei suoi particolari
contesti storici, abbastanza estranei nella nostra mentalità
contemporanea. Ai nostri giorni, va detto, tale espressione ha perso
come minimo tutto il suo carattere di “vangelo” e solleva il
problema che oggi rappresenta una
delle maggiori zavorre del cristianesimo e
dal quale però le nostre chiese non sembrano disposte a prendere le
distanze… la ellenizzazione della fede” (pag. 202).
Non
meno significative sono le osservazioni del teologo Jon Sobrino “Il
rapporto di Gesù con Dio è stato come quello di una creatura, e
si è espresso in maniera specifica e globalizzante: relazione di
fiducia, e per questo motivo Dio è “Abba” per Gesù, e relazione
di disponibilità, e perciò per lui Abba continua ad essere Dio”
(pag. 280), quel Dio che il nazareno prega, come ricorda con vivi
accenti di umanità la lettera agli Ebrei (5,7). Egli si pone davanti
a Dio con umiltà e nell’oscurità: “pur essendo il figlio imparò
l’obbedienza” (Ebrei 5,8).
La
teologa Anna Maria Tepedino con grande lucidità riassume alcuni
passaggi cristologici che hanno segnato vere e proprie svolte. “Il
momento decisivo per la patriarcalizzazione della cristologia è il
IV secolo. Nel 312 d.C. la conversione dell’imperatore Costantino
al cristianesimo segna il passaggio dalla “religio illicita”,
perseguitata e minoritaria… alla religione ufficiale dell’Impero
romano. La sua ideologia viene legittimata. L’unità imperiale
aveva bisogno dell’unità di fede e teologia. Un cristianesimo
insediatosi nel cuore del potere politico sul mondo, si integrava a
perfezione con l’aspettativa messianica davidica” (pag. 358). “La
dottrina cristologica di Cristo come Logos
o
fondamento del creato si identifica con le basi del sistema sociale
vigente. Cristo come Logos di Dio è rivelazione della mente divina,
e offre il governo e il quadro del cosmo sociale costituito. Tutto si
integra in un’unica e ampia gerarchia dell’essere”, scriveva
già Eusebio di Cesarea nel De
vita Costantini.
Si
instaura una nefasta coerenza tra impero e teologia: “E’
infatti nello stesso modo in cui il Logos
di Dio governa il cosmo che l’imperatore romano cristiano, insieme
alla chiesa cristiana, governa il mondo politico. I signori governano
gli schiavi e gli uomini governano le donne…. Le donne, gli schiavi
e i barbari erano alogoi,
le persone che non hanno parole proprie, senza mente devono essere
guidate dai rappresentanti del Logos divino. Gesù Cristo diventa
così il ritratto dell’imperatore. Il Pantocrator (colui che tutto
governa) regna su un nuovo ordine sociale, nel quale le donne non
hanno alcuna importanza… Cristo diventa il fondatore e il
governatore cosmico della gerarchia sociale esistente” (pag.359).
Lentamente
si cercò di “cancellare” quelle cristologie (anche se
l’operazione non riuscì mai completamente) che ponevano l’accento
sul significato di Gesù più che sulla struttura del suo essere.
Sempre
di più gli studi biblici evidenziano un dato plurale, cioè la
libertà che le comunità primitive si presero di esprimere diverse
cristologie.
Le
pagine di Jacques Dupuis approfondiscono altri aspetti. “L’intenzione
di Gesù consisteva nel rivitalizzare il vero spirito della religione
che egli condivideva con il suo popolo… Egli
non intendeva il superamento del giudaismo e la sua sostituzione
attraverso l’instaurazione di una nuova religione” (pag.
384). “Poiché incentrato sul Regno di Dio, Gesù lo è anche su
Dio stesso… il ‘regnocentrismo’ e il ‘teocentrismo’
coincidono. Il Dio che Gesù chiama ‘Padre’ è il centro del suo
messaggio, della sua vita e della sua persona: Gesù non ha parlato
primariamente di sé stesso, ma per annunciare Dio e la venuta del
Suo regno e per mettersi al Suo servizio. Dio
è al centro, non il messaggero!”
(pag.387). Ecco perché “mentre l’uomo Cristo Gesù viene
chiamato mediatore, colui che è il nostro salvatore rimane il Dio
che sta aldilà del Cristo risorto, come fonte primaria ed ultima
della salvezza dell’umanità. Gesù Cristo non sostituisce il
Padre… e la sua funzione lo mantiene in un rapporto
di totale dipendenza e relazione nei confronti del Padre suo.
Non a Cristo risorto, ma a Dio va attribuita una ‘volontà
salvifica’ universale nei riguardi dell’umanità intera” (pag.
148).
Ho
dato ampio spazio alla segnalazione di questo volume di cristologia
per evidenziare come alcune acquisizioni di teologi e teologhe
ufficiali (anche se sospettati e invisi al vaticano) ormai impongono
di non fermarci alle formulazioni di Nicea e Calcedonia,
ossessivamente ribadite dal magistero. Fare di queste formulazioni il
criterio di appartenenza alla chiesa significa “non aver capito che
il nome di Gesù non è da usare per definire i limiti della sua
compagnia, per imporre dei confini alla sua comunità e per
restringere le frontiere della sua attività” (C. S. Song). Era già
successo ai discepoli, come ci ricorda il Vangelo di Marco (9,38-39).
Dunque,
un volume che, per nulla rivoluzionario (le pagine di Dupuis sul
dialogo con le altre religioni non sono prive di persistenti
chiusure), rappresenta però uno stimolo alla ricerca e documenta in
parte il cammino degli ultimi duecento anni di riflessione
cristologica.
Le
ricerche cristologiche degli ultimi due secoli hanno anche il pregio
di far
uscire Gesù dalla nicchia dogmatica in
cui noi l’avevamo rinchiuso e imprigionato. Gesù torna ad essere
il “nazareno”, palpitante di vita e di fede, non un essere
astrale, perfetto, etereo.
“La
prassi di Gesù è progressiva, o meglio, è processuale nel senso
che Gesù è ‘un
essere in processo’,
una persona radicata nella storia, soggetta a sviluppo e cambiamento
nel campo della conoscenza e della coscienza. Si
trasforma la sua idea di Dio e il suo modo di rapportarsi a Lui:
dalla distanza alla vicinanza, dalla maestà alla relazione filiale e
intima…. Si trasforma egualmente la sua relazione con il popolo e
con i discepoli. Cambia la sua percezione della realtà. Cambia la
posizione sociale: dalla tranquillità casalinga alla tensione
sociale, dal posto fisso all’instabilità. Gesù
vive momenti di incertezza, è esposto ai dubbi di fede, si sente
indeciso, esperimenta l’oscurità della storia”
(Juan José Tamayo-Acosta, Per
questo lo hanno ucciso,
Cittadella, Assisi 2000, pag. 108). Questo è il Gesù vivo, la via
che conduce a Dio, testimone di un amore storico che non cessa di
coinvolgerci.
Franco
Barbero