martedì 12 marzo 2019

UNA SITUAZIONE DRAMMATICA


ESSERE BAMBINI
NEL SUD DEL MONDO

Spaccare pietre per 8 ore al giorno per un pugno di dollari.
Non è il titolo di un film di Sergio Leone, è la dura realtà nelle aree remote al confine tra Eritrea ed Etiopia per migliaia di bambini che non conoscono altro dell'esistenza umana, a differenza dei loro coetanei più fortunati che possono crescere, frequentare la scuola e giocare.
Essere bambini nel Sud del mondo, per usare l'espressione di Willy Brand, sembra un miracolo. Non sentivamo più parlare di piccoli costretti al lavoro, dalle opere di Giuseppe Verga e del primo Pirandello. Forse gli ultimi sono stati gli sciuscià di De Sica e i piccoli schiavi nella Città della Gioia di Dominique Lapierre.
Oggi invece sappiamo che nel mondo impoverito c'è uno sfruttamento infantile, forse come non si era mai visto. Ma quando si leggono le statistiche, non si vedono le lacrime, il sudore e le ferite di coloro che hanno avuto la sorte di nascere in luoghi dove persino gli animali fanno fatica a sopravvivere.
Durante il Congresso Internazionale ‟Skin on the Move and  Global Health“, discutiamo delle malattie presenti in queste regioni dell'Africa. Si susseguono presentazioni di progetti per prevenire le patologie più gravi, in primis la denutrizione, la tubercolosi, la malaria, l'AIDS. Come implementare le vaccinazioni salvavita di cui tanto si sparla da noi, mentre qui al contrario tutte le famiglie vorrebbero vaccinare i loro figli: ma i vaccini non ci sono. Anche in questo caso, solo i più fortunati possono permetterseli. E allora? Come si può discutere alla presenza di tanti qualificati ricercatori e scienziati senza tener conto delle reali condizioni di vita sociali in cui centinaia di migliaia di bambini sono costretti a crescere, nella stessa capanna in cui vivono capre, galline, pecore e qualche mucca, tra raccolte di escrementi di animali, di legna da ardere per riscaldarsi e chilometri da percorrere a piedi per avere un po' di acqua, quasi mai potabile. Quell'acqua che dà la vita, oppure la può togliere quando si è costretti a berla infetta o quando fa da terreno di coltura per la crescita di insetti mortali: ‟zanzare anofele“, ‟zika“, ‟black fly“, ‟aedes Aegypti“.
Sarà per questo che qualche madre prova a mettere un figlio su un barcone e affidarlo a un criminale che dopo aver intascato tutti i risparmi non esisterà ad affogarlo se gli converrà. Sono stato testimone in Egitto della fatica di alcuni genitori per raccogliere i soldi necessari a ‟spedire“ il loro figlio nel Canale di Sicilia, conoscendo comunque il rischio di morire.
Mi piacerebbe che scendesse la sera su questi bambini sfigurati dalla fatica di vivere e domani ci fosse l'alba di un nuovo giorno dove tutti potessero andare a scuola e giocare sereni... è forse chiedere troppo?
Aldo Morrone, Qualevita 180