giovedì 2 maggio 2019

Sodoma in Vaticano, impazza la guerra delle due lobby gay

Sodoma, il discusso saggio-inchiesta del sociologo e attivista lgbt Frédéric Martel, può essere letto solo in Quaresima. Per arrivare alla fine delle 600 pagine occorre infatti un forte esercizio di quelle virtù, a cominciare dalla pazienza, con le quali un bravo cristiano tenta di prepararsi alla Pasqua. Tuttavia, chiusa l'ultima pagina, elaborati il disgusto e la noia, alcune perle appaiono evidenti.
La prima è la trepidante simpatia che l'autore manifesta per una lobby di prelati gay quaranta-sessantenni incontrati in Vaticano e in numerose curie e nunziature del mondo, palesemente todopoderosos (tutti potenti) in questo pontificato ispanofono. Di contro, la radicale antipatia per un'altra lobby di ecclesiastici gay ormai ultrasessantenni e conservatori, todopoderos ai tempi in cui i papi parlavano polacco o tedesco. In questa ormai isterica battaglia campale, Martel descrive i primi come tutti progressisti, intelligenti, brillanti, colti, dinamici, efficienti, ma modestamente retribuiti. Eppure dall'annuario pontificio risultano titolari di due, tre, quattro benefici, per un ammontare mensile anche superiore ai diecimila euro, ovviamente esentasse. E sono loro che, per illudere papa Francesco che stanno facendo economie, in meno di tre anni hanno licenziato più di 150 dipendenti vaticani, padri di famiglia.
Ma la perla più preoccupante è quell'archivio riservato della segreteria di Stato da cui fuoriescono le notizie che il pontefice regolarmente chiede, come investigatio praevia, quando deve procedere a una nomina. Ed è facile immaginare che dal gaio letamaio che il libro di Martel così plasticamente descrive, provengano anche le informazioni che si depositano nei fascicoli personali registrati nell'archivio della segreteria di Stato.
Fa paura pensare cosa vi abbiano potuto annotare, a danno dei migliori e beneficio dei peggiori, quei personaggi che prima di atterrare a compiti apicali in Vaticano e nelle nunziature di Cile, Stati Uniti, Francia, Italia, Messico (tanto per limitarsi alla cronaca) e di molti altri Paesi, hanno avuto modo di stilare liste di proscrizione in base ai loro gusti sessuali o ai loro interessi personali.
È lo stesso Martel a definire l'archivio della segreteria di Stato «non l'inferno, ma il diavolo stesso!». La frase è attribuita a un anonimo monsignore. In realtà è del teologo Yves Congar, scritta nel suo journal d'un théologien il diario redatto per narrare le infamità subite dalla curia romana tra il 1946 e il 1956. Allora in Vaticano abitavano giganti. Ora vi abitano quelli che hanno accolto, ospitato, coccolato Frédéric Martel.
Filippo Di Giacomo

 (Il Venerdì, 5 aprile)