BANGKOK.
Prima o poi doveva succedere e sta
succedendo. Un numero crescente di Paesi dell'Asia rispedisce al
mittente intere navi cariche di fetida spazzatura, percorrendo
all'indietro le rotte oceaniche dei cargo occidentali che portavano
ufficialmente materiali ‟riciclabili” per le industrie dei Paesi
in via di sviluppo. Ci sono voluti 30 anni per scoprire che la
celebre Convenzione di Basilea sul controllo dei rifiuti pericolosi e
del loro smaltimento era largamente inapplicata.
La
prima ad accorgersi che molta della plastica era inutilizzabile o
contaminata è stata la Cina. Ora che da sola produce abbastanza
materie di scarto da rifornire la sua competitiva industria, ha
chiuso dal gennaio del 2018 tutti i suoi porti alle navi-monnezza
dell'Ovest. È stato giocoforza per i Paesi ‟ricchi”- anche
asiatici, come il Giappone - deviare i loro rifiuti verso le acque
dei Paesi limitrofi. Ultimamente, però, Stati pur produttivamente
ambiziosi come la Thailandia, il Vietnam, la Cambogia, la stessa
India dove le città accumulano enormi montagne nauseabonde, hanno
annunciato blocchi e leggi restrittive. Ma a fare notizia è stata la
ribellione cominciata dalle Filippine, che a maggio ha rispedito ai
canadesi - che minacciavano ritorsioni - 69 container con 1500
tonnellate ufficialmente di ‟materie plastiche da riuso”, in
realtà imbottiti con sacchetti di cibo avanzato, pannoloni usati
eccetera lasciati a marcire sulle banchine per sei lunghi anni. Da
quando tre mesi fa la MV Bavaria è salpata da Manila tra il giubilo
degli ambientalisti asiatici, i ministri del governo Trudeau - e
molti altri tra Europa e America - si sono trovati davanti al
problema impellente di riciclarsi i propri rifiuti senza impianti
adeguati. Infatti anche la Malesia (che aveva triplicato l'‟import”
dal primo semestre del 2018) ha ‟restituito” al Canada parte
delle tremila tonnellate giunte con false etichette. Lo stesso ha
fatto l’Indonesia e, da ultimo, lo Sri Lanka, che a metà luglio ha
annunciato il ritorno al mittente - il Regno Unito - di 130
maleodoranti container fermi nel porto della capitale Colombo con la
dicitura ‟materassi, tappeti usati ecc”. In realtà tra materassi
(anche imbevuti di sangue) e biancheria sporca c'erano pure ‟rifiuti
clinici” degli ospedali, un eufemismo per le parti di cadaveri
asportati chirurgicamente.
Dicono
che il risveglio ambientalista dell'Asia sia parte di un fenomeno
mondiale che forse imporrà finalmente precise misure di riciclaggio.
E che dopo l'estremo Oriente la prossima frontiera ribelle potrebbe
essere l'Africa.
Raimondo
Bultrini, il Venerdì 9 agosto 2019