I
transessuali che sono stati sottoposti alle cosiddette terapie di
conversione o terapie riparative – che mirerebbero ad allineare la
loro identità di genere con il sesso anagrafico assegnato alla
nascita – soffrono il 50% in più di stress gravi, hanno molti più
pensieri suicidi, e tentano di togliersi la vita con frequenza più
che doppia degli altri trans. Cosa ancor più allarmante, per chi
queste terapie le segue prima dei 10 anni di età, il rischio di
tentato suicidio nel resto della vita si quadruplica.
Lo
mostra la prima, vasta indagine mai realizzata al riguardo, condotta
su 28.000 transessuali statunitensi da Jack Turban, psichiatra alla
Harvard Medical School negli Usa, e pubblicata su “Jama
PsychiatrY”.
Le
terapie riparative non hanno basi scientifiche perché non si
conoscono interventi capaci di modificare l’orientamento sessuale o
l’identità di genere di una persona, anche ammesso che lo si
ritenesse desiderabile. E gli studi sugli omosessuali ne hanno già
dimostrato gli effetti dannosi per l’equilibrio psichico di chi vi
è sottoposto. Perciò le principali società scientifiche
interessate, tra cui quelle dei medici, degli psicologi e dei
pediatri statunitensi, si sono espresse contro questi trattamenti.
Questo nuovo studio estende ora le osservazioni ai transessuali.
Giovanni
Sabato. Rocca 21