domenica 8 dicembre 2019

IL BAMBINO CON L'ACQUA SPORCA?

Quanto segue è un tentativo di riflessione prendendo spunto dal testo di Roger Lenaers Il sogno di Nabucodonosor (o la fine di una Chiesa medievale) (Massari, 2009). A proposito di un testo dello stesso autore Gesù di Nazareth, uomo come noi? (Gabrielli 2017), Mauro Pedrazzoli ha già pubblicato un commento approfondito (Gesù fuori dal mito) su il foglio 460. Intendo ripercorrere il pensiero di questo autore (un gesuita olandese) e descrivere svariati aspetti della sua opera di radicale polemica; ma soprattutto cercherò di mettermi in sintonia con le intenzioni di Lenaers. Egli non intende solo criticare aspramente numerose credenze e prassi tradizionali della Chiesa Cattolica, ma anche proporre un modo nuovo di vivere la fede, nel XXI secolo. I numeri tra parentesi si riferiscono alle pagine del primo testo citato. 


Un assioma da cambiare
Come già spiegato nel citato articolo di Mauro Pedrazzoli, per molti secoli «la cristianità concepiva il nostro mondo come totalmente dipendente da un altro mondo. Questo altro mondo era concepito come governato da un potente sovrano, il Dio del Cielo, con poteri assoluti, il cui dominio ‟soprannaturale” era collocato al di sopra del nostro mondo» (19).
«Tuttavia, occorre mettere in chiaro che l'esistenza di questo ‟secondo mondo” è un assioma, cioè un’indimostrata anche se irrefutabile proposizione. Ma già nel XVI secolo la accettazione di tale assioma cominciò a mostrare qualche crepa. Lentamente si comprese che la natura seguiva proprie leggi interne, senza bisogno di ricorrere a interventi da parte di un ‟altro mondo”. Nei secoli seguenti, un numero sempre crescente di fenomeni fisici e psichici, in un primo tempo percepiti come il risultato di interventi soprannaturali, venivano sempre più riconosciuti come l'effetto di forze intramondane» (25). L'assioma del «Dio-nel-Cielo» risultò sempre meno evidente. E così per la «correttezza» delle formulazioni di fede, tutto appariva dipendente dall’assioma di partenza selezionato. Ma «correttezza» non significava «verità». Non accettando più l'assioma, tutto poteva essere messo in discussione.
Una domanda si impone: «Caduto l'assioma dei ‟due mondi”, c'è ancora posto per Dio in tale pensiero?». «Certamente un posto c'è», risponde Lenaers, «e non solo quello riservato a un ‟dio-tappabuchi”, quando ogni altro tentativo di spiegazione è fallito. No, il suo nuovo posto è quello più eminente, a tal punto eminente che, al confronto, il suo vecchio ruolo di Dio-in-cielo era soltanto quello di un estraneo che solo occasionalmente appariva sulla scena cosmica e sul palcoscenico della vita quotidiana» (28). «Le dottrine tradizionali fanno parte di un linguaggio mitico ma sono portatrici di un nucleo attuale di buona novella e sono come tali l'espressione di un'esperienza perennemente valida, esperienza del sempre nuovo e vivo incontro con la realtà divina» (47).
Trovare una traduzione moderna dell'esperienza religiosa risulta un compito estremamente arduo. «Ci stiamo imbarcando nell'esplorazione di una terra appena scoperta sulla quale non ci sono ancora sentieri. I sentieri si concretizzeranno quando molte persone cominceranno ad andare e venire. E il linguaggio sarà in qualche modo anch'esso mitico, dal momento che parlare della misteriosa Realtà Ultima si può fare solo attraverso immagini e quindi non miti. Oggi questi devono essere miti del XXI secolo che possano far aprire gli occhi alle persone di questo secolo» (59,52).
Ma chi si dice cristiano «non può semplicemente professare qualsiasi cosa» (78). Egli tiene a una comunità religiosa che ha le sue radici nel primo secolo della nostra era. E la prima fonte sarebbe la Sacra Scrittura. «Ma è una vera fonte di Fede? Si tratta di un libro di ‟oracoli divini”, in cui ogni affermazione è corretta e corrispondente a verità? Dobbiamo essere d'accordo con tutto quello che in questo libro è scritto?» (61). «Le parole della Scrittura sono talvolta povere e persino fuorvianti. Se diamo a esse il nostro assenso, non lo facciamo perché sono infallibili per se stesse, ma perché ci toccano esistenzialmente. Per noi la luce divina risplende nella persona di Gesù di Nazareth. Noi stessi abbiamo sperimentato parte di questa luminosità» (71).
La Chiesa cattolica (e non solo) attraversa una grave crisi. Chiunque può constatarlo. L'amministrazione della Chiesa sta usando le conquiste della modernità come armi nella lotta contro la detestabile modernità. «Viaggi papali, Anni Santi turistici, canonizzazioni, pellegrinaggi» (38). Il culto dei santi è in declino. «Tuttavia, ciò non ha impedito agli ultimi papi di continuare ostinatamente ad aggiungere sempre più santi alla chiesa celeste. Lo slogan romano sembra essere: ‟Diminuisce la richiesta? aumenta l'offerta!”» (345).

Ateismo figlio della chiesa 
Ma l'ateismo contemporaneo ha radici ben più profonde. «Tale insuccesso era stato preparato da molto tempo: tutto ciò che prima era considerato come interferenza divina, lentamente veniva presentato come fenomeno intramondano. Questo non sarebbe stato devastante se la gente fosse stata capace di scorgere la profonda sacralità interna e soggiacente a questi fenomeni terrestri, perché in tal caso avrebbe trovato sempre Dio, sia pure in forma diversa rispetto a prima. Allo scopo di liberarsi dal Dio-in-alto che la Chiesa premoderna aveva usato come strumento nella sua battaglia, anche la Modernità si è chiusa alla possibilità di essere toccata dal Dio-nel-profondo» (27). «I seguaci dell'Illuminismo hanno dimenticato di esaminare quale arricchente messaggio fosse stato simbolizzato ed espresso dagli antichi miti cristiani. L'hanno dimenticato perché irritati della testardaggine con cui la Chiesa continuava a presentare le sue immagini come realtà. Nella sua aggressione contro la Chiesa, l'Illuminismo è diventato cieco riguardo alla profondità dei miti cristiani e nella sua cecità ha buttato via il bambino con l'acqua sporca. I credenti dell’epoca moderna sono alla ricerca di questo bambino» (52).
Quello che più allontana la gerarchia della Chiesa Cattolica dai non credenti e dai moderni credenti, è la facoltà di emanare decreti che di fatto limitano la libertà dei credenti. I rappresentanti della gerarchia basano questo loro diritto «non su un mandato ricevuto da ‟elettori”, come i sindaci e i ministri. Affermano di avere ricevuto un mandato da Dio-in-alto, che sta sopra ogni cosa umana, quindi anche sopra i diritti dell'uomo» (92). «L'idea che la gerarchia possieda una (infallibile) autorità di insegnare è una dichiarazione resa dalla stessa gerarchia, la quale, a garanzia di questa stessa dichiarazione, ha fatto ricorso all'infallibilità del proprio ufficio di insegnare» (106).
Eppure sappiamo che ogni organizzazione, compresa la Chiesa, ha bisogno di un governo e di strutture di autorità per potere vivere. «Dovremmo immaginare che la Chiesa come una struttura di potere ‟base-vertice” che cioè si sviluppa dal basso verso l'alto, da Dio-nel-profondo la cui forza creativa permea l'intero Popolo di Dio e lo spinge a dar vita alle necessarie forme di autorità e direzione» (98). «Il compito delle autorità è di coordinare e controllare ciò che avviene a livello più basso. La loro è una funzione di ‟supervisione” in linea con significato originale del termine greco episcopos» (102). L'immenso edificio sostenuto da una gerarchia ‟infallibile” comincia a scricchiolare. L'abolizione del limbo sembra aver portato all'abolizione dell'antica e autorevole dottrina del ‟peccato originale”. «Molte altre dottrine, collegate a quella del peccato originale verranno trascinate nella sua caduta. Per esempio, la spiegazione del battesimo come cancellazione del peccato originale; la spiegazione della morte di Gesù come sacrificio di espiazione; il dogma dell'Immacolata Concezione di Maria, che perderà il suo fondamento senza il peccato originale, così come dogma della sua assunzione; e come risultato della caduta dei due dogmi precedenti, collasserà anche il dogma dell'infallibilità papale. Ancora una volta ci si presenta l'immagine della grande statua nel sogno di Nabucodonosor, che arriva fino al cielo, ma che poi crolla pesantemente, colpita nel suo piede d'argilla» (58).

Parlare dell’Indicibile
Come cambiare l'immagine di Dio in modo tale che rimanga all'interno della tradizione, e senza scambiare il Dio di Cristo con immagini della propria fantasia?
Dovremmo inevitabilmente usare immagini senza potere arrivare a definizioni. «Più precisione si usa nel parlare dell'Indicibile e più questa realtà viene distorta. Il linguaggio che usiamo è solo un dito che punta verso qualcosa di completamente diverso» (126). Il «Dio Creatore può essere paragonato a un artista che produce cose che precedentemente non esistevano. In molti casi «ci sono forme di creazione in cui l'artista e l'opera d'arte sono due entità distinte, ma che rimangono inseparabili l'uno dall'altra. Si pensi alla danza, all'improvvisazione all'organo o al canto. Queste forme d'arte non coincidono con chi danza, suona o canta. Ma neppure hanno un'esistenza separata. Così la Creazione e il Creatore stesso, ma non nel senso di piena identità: è una delle sue possibili autorivelazioni. Non si tratta di ‟panteismo”: il Dio Creatore non coincide col cosmo, lo supera sempre, come l'artista supera l'opera d'arte in cui solo parzialmente rivela la sua essenza nascosta» (115-116). Per rivelare qualcosa sull'essenza del Mistero chiamato Dio, possiamo servirci di un termine espressivo che deriva dalla nostra esperienza umana, per cui Dio può essere chiamato «Amore», immagine che evoca calore e tenerezza così da potere chiamare Dio col nome di Padre, Salvatore, Grazia, Amato, così da potere non tanto «conoscerlo», quanto «incontrarlo». Dio è un Tu che semplicemente ama, non è definibile, è solo riconoscibile» (124). «Così diventa chiaro in che direzione il cosmo si sta evolvendo: è l'espressione di un Mistero di Amore che si incrementa sempre di più. Dal mondo materiale alle varie forme di vita, fino a Gesù di Nazareth, espressione dell'Amore nel modo infinitamente più completo. E allora «l'essere umano in evoluzione deve imparare a uscire da se stesso per raggiungere gli altri esseri umani» (122), impegnandosi contro ogni forma di ingiustizia e di sofferenza. E pure col massimo rispetto verso tutta la natura, incantevole autorivelazione di Dio.
Quanto al cammino, ambiguo e contraddittorio, che avrebbe portato, solo nel IV secolo, alla «divinizzazione» di Gesù, l'autore, rivolgendosi ai difensori del Credo tradizionale, pone la seguente provocatoria domanda: «È più importante chiamare Gesù ‟Dio” (spesso con un bastone per colpire chi non se la sente di farlo), o non chiamarlo in questo modo ma lasciarsi plasmare da lui?». E così conclude: «Dire a parole che Gesù è Dio, quando poi non ci indirizziamo verso di lui in ogni cosa, è mostrare coi fatti che non lo è» (149).

Dario Oitana, Il Foglio n. 465