La vera pace è disarmata
29-11-2019 - di Raniero La Valle
«Appena
un istante, tutto venne divorato da un buco nero di distruzione e di
morte». Così il papa a Hiroshima. Ma lui è l’unico che resta ancorato a
quel buco nero e che mette in gioco la sua autorità di leader per
parlare da quel buco nero a un mondo che sembra volere sprofondarvi di
nuovo. Chi ha colto fin dal suo sorgere l’inaudita novità del
pontificato di Francesco, non si stupirà delle sue fermissime parole da
Hiroshima e Nagasaki. Da «queste terre che hanno sperimentato come poche
altre la capacità distruttiva cui può giungere l’essere umano», per
condannare le armi nucleari come «un crimine» e il pensiero stesso che
le ha concepite.
Un
papa che ha cominciato a Lampedusa («Vergogna!» salvare le banche e non
i naufraghi), che nel memoriale della Shoà in Israele ha rinominato il
peccato originale come il peccato non di Adamo ma di Caino, che ha
aperto l’Anno santo non a Roma ma a Bangui, che ha convocato la Chiesa
intera al capezzale dell’Amazzonia morente per il fuoco appiccato dagli
uomini, non poteva non salire a quel buco nero. Vi è salito come al vero
nuovo altare su cui l’umano, e insieme anche il divino, sono bruciati
per il sacrificio. E ha detto queste parole: «Con convinzione desidero
ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più
che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro
ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia
atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale
il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa. Saremo
giudicati per questo… Come possiamo parlare di pace mentre costruiamo
nuove e formidabili armi di guerra?».
Come
sono lontani i vescovi americani che al Concilio, per assolvere la
strategia della deterrenza e l’equilibrio del terrore, impedirono che si
condannasse anche il solo possesso delle armi nucleari! Ora la Chiesa,
finché il papa è il papa, ne condanna oltre al possesso anche la
fabbricazione e il commercio, perché la corsa agli armamenti, egli ha
detto appena è arrivato a Nagasaki, «spreca risorse preziose che
potrebbero invece essere utilizzate a vantaggio dello sviluppo integrale
dei popoli e per la protezione dell’ambiente naturale. Nel mondo di
oggi, dove milioni di bambini e famiglie vivono in condizioni disumane, i
soldi spesi e le fortune guadagnate per fabbricare, ammodernare,
mantenere e vendere le armi sempre più distruttive sono un attentato
continuo che grida al cielo». E ha aggiunto una nuova definizione alla
pace, dopo quella di Giovanni XXIII («la pace è fuori della ragione»)
dicendo che «la vera pace è disarmata»: o è disarmata o non è, ossia non
può esserci: «Le armi, ancor prima di causare vittime e distruzione,
hanno la capacità di generare cattivi sogni, esigono enormi spese,
arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la
psicologia dei popoli. La vera pace può essere solo una pace disarmata».
Essa non sta solo in un non fare (non fare la guerra) ma in un
costruire continuo nella giustizia il bene di tutti.
Giustamente
noi ci siamo scandalizzati al sapere che pochi ricchi hanno tanta
ricchezza quanto la metà più povera della terra, ma ancora di più
dovremmo indignarci al sapere che la grottesca enormità della spesa per
gli armamenti (giunta, dicono gli analisti, a 1800 miliardi di dollari
l’anno scorso) non solo toglie ogni speranza ai poveri, ma impedisce di
porre mano alla vera emergenza che minaccia un altro buco nero per il
mondo intero: la devastazione degli ecosistemi e la fine stessa della
storia. Perché tutto si tiene. «È un grave errore pensare che oggi i
problemi possano essere affrontati in maniera isolata senza considerarli
come parte di una rete più ampia», ha detto papa Francesco a Tokyo. E
non a caso, parlando al recente Congresso mondiale del diritto penale (https://volerelaluna.it/materiali/2019/11/20/il-papa-e-la-giustizia-penale/),
ci ha tenuto a dire che sta per mettere nel Catechismo della Chiesa
cattolica un nuovo peccato, quello ecologico, che grida anch’esso, come
la guerra, contro Dio e gli uomini. Perché se il sistema politico non
giunge a metterlo tra i crimini, lui intanto lo ascrive al peccato; e si
sa come nella storia i due termini si siano, anche fortunosamente,
intrecciati.
La
verità è che siamo arrivati a quella svolta epocale per la quale la
salvezza dell’umanità e del mondo non è più solo l’argomento delle
religioni e delle Chiese, ma è l’urgenza stessa della politica e del
diritto. Le due salvezze si incontrano, diventano una sola, fede e
storia, grazia e libertà, sono portate dai fatti a incontrarsi in una
sintesi nuova, escono dalla dialettica degli opposti. Eppure proprio ora
l’irrompere dei particolarismi, dei nazionalismi, dei sovranismi sta
distruggendo quel tanto di ordine internazionale che con tanta fatica si
era cominciato a costruire dopo la prova della seconda guerra mondiale.
Nel
messaggio di Nagasaki sulle armi nucleari il papa ha denunciato proprio
questo rovesciamento che è in corso, che si manifesta nello
«smantellamento dell’architettura internazionale di controllo degli
armamenti. Stiamo assistendo a un’erosione del multilateralismo, ancora
più grave di fronte allo sviluppo delle nuove tecnologie delle armi;
questo approccio sembra piuttosto incoerente nell’attuale contesto
segnato dall’interconnessione e costituisce una situazione che richiede
urgente attenzione e anche dedizione da parte di tutti i leader».
Ormai gli appelli, le denunce, e anche milioni di voci che si levano dalle piazze non bastano più.
Va
ripresa con coraggio la strada gloriosa dell’internazionalismo, la
costruzione del multilateralismo. Questo, oggi, è il vero «stato
d’eccezione» su cui ieri si insediavano i vecchi sovrani. Ma per fare
questo occorre tornare alla politica per promuovere una politica per la
Terra; occorre fondare un diritto capace di dettare regole impegnative
per tutti, un costituzionalismo mondiale e un sistema di garanzie che lo
renda efficace, occorre una Costituzione per la Terra.
L’articolo è stato pubblicato su “il manifesto” del 26 novembre