sabato 7 dicembre 2019

RISPONDE Umberto Galimberti
Il tramonto dell'Occidente
Occidente vuol dire "tramonto". E non è detto che l'indomani il sole risorga


FINO A QUANDO assisteremo, impotenti e rassegnati, alle rovine che un capitalismo globalizzato e rapace sta producendo in Occidente? La globalizzazione ha effetti drammatici in quei Paesi democratici che, grazie alle lotte, si erano guadagnati un giusto ed evoluto welfare. I lavoratori di questi Paesi vanno impoverendosi di giorno in giorno e lo spettro della disoccupazione è da tempo ospite delle loro vite: siede al loro desco, accompagna il loro sonno gravido di incubi, e l'angoscia d'un pericolo imminente fa da corollario alle loro esistenze. I nostri destini sono nelle mani di un sistema tecnico produttivo che ha come fine il proprio perfezionamento e non la persona. È il capitalismo pirata, che si sposta laddove può meglio sfruttare e ricavare, non ha altro obiettivo che non sia il proprio arricchimento. L'Ilva lascerà sul lastrico migliaia di lavoratori in una città che da anni ha rinunciato alla salute pur di sopravvivere, e altre multinazionali nel prossimo futuro decentreranno altrove. Ci attende una maggiore povertà, e se queste sono le armi con cui affrontiamo il presente, vuol dire che non abbiamo un futuro. Occorre elaborare un pensiero forte, alternativo rispetto a quello dominante. Occorre ritornare a sognare un mondo diverso e scendere dalla macchina in cui siamo imprudentemente saliti. Sfoderiamo le armi della critica e cambiamo l'attuale e demenziale ordine delle cose.
Rino Gualtieri
ri.gualtieri@yahoo.it


IL 9 NOVEMBRE 2019 abbiamo festeggiato la caduta del muro di Berlino, unendoci alla gioia dei berlinesi, della Germania riunificata e dell'intera Europa. Quel giorno, simbolicamente, ha significato la fine della contrapposizione tra sistema comunista e sistema capitalista, e quest'ultimo è diventato globale. Gli effetti sono ben decritti dalla sua lettera. Il capitalismo, infatti, che ha in vista unicamente il profitto, ha eretto il denaro a generatore simbolico di tutti i valori. Non più "mezzo" per soddisfare bisogni e produrre beni, ma "fine ultimo", per realizzare il quale si vedrà di volta in volta se soddisfare i bisogni e in che misura produrre i beni.
Gli Stati europei, che avevano inaugurato lo Stato sociale garantendo sanità pubblica per tutti, scuola pubblica per tutti, pensione per tutti, salari appropriati al costo della vita, si sono rivelati più deboli delle multinazionali, i cui capitali, in molti casi, superano quelli degli Stati nazionali, che a questo punto non riescono a reggere all'urto, come in Italia nel caso dell'Ilva a Taranto, della Whirlpool a Napoli, dell'Alcoa in Sardegna, per non parlare della Fiat un tempo italiana, poi italo-americana e infine italo-americana- francese con direzione a Parigi, e delle multinazionali, dell'informatica e non solo, che pagano le tasse nei Paesi dalla fiscalità più conveniente.
Va da sé che, stante la debolezza economica degli Stati nazionali rispetto alle multinazionali, lo Stato sociale, che l'Europa aveva conquistato, non può che ridursi progressivamente, generando quell'irrequietudine collettiva che lei ha significativamente descritto. Questo determina una progressiva diminuzione demografica, compensata, ma già oggi molto meno, dalle nascite della popolazione immigrata, ciò comporta un aumento della popolazione anziana inattiva per effetto dei progressi della medicina, a cui si accompagna un aumento della disoccupazione giovanile, che non potrà che crescere ulteriormente per effetto del progresso della tecnica e dell'intelligenza artificiale, costringendo i giovani a erodere la ricchezza dei padri, senza sapere che cosa potranno lasciare ai loro figli nel caso decidano di metterli al mondo. E quando il dato demografico è così scompensato - tanti vecchi da mantenere e pochi giovani occupati con progressiva diminuzione delle nascite - prevedere la fine di una civiltà non è difficile.
Charles Bukowski scriveva: «Il capitalismo è sopravvissuto al comunismo. Bene. Ora il capitalismo divora se stesso». Vedremo cosa accadrà se già oggi il futuro non è più una promessa, ma una minaccia. Intanto continuiamo a distruggere la terra nell'indifferenza generalizzata, che guarda alle denunce delle nuove generazioni come espressioni d'ingenuità o utopia giovanile, perché impotenti di fronte al cinismo del "sano realismo" che, conveniamone, tanto sano non è.
umbertogalimberti@repubblica.it
Scrivete una email oppure indirizzate la vostra posta a "Lettere a Umberto Galimberti", D la Repubblica.

(la Repubblica, 23 novembre 2019)