Dopo
aver scritto una decina di libri sul tema “fede ed impegno”, dopo
aver trascorso anni sui temi biblici, mi è molto difficile oggi
parlare della preghiera perché temo di fare un “pistolotto”
pietistico. Ma per me non è mai stato così. La preghiera è per me
intrecciata con la vita. Da sempre inserito nell’impegno sociale e
politico, cercando di collocarmi sul solco di Gesù, dalla parte dei
deboli, sono riconoscente a Dio che mi ha conservato la passione
della preghiera. Ormai 50 anni fa, quando scrissi “Una fede da
reinventare”, eravamo nel pieno delle lotte politiche. Ma io non ho
mai potuto capire perché si dovesse separare la passione per gli
oppressi dalla passione per Dio. Questo mi sembra un binomio
inscindibile.
Anni
di studi biblici mi hanno innamorato (sempre dentro una vita molto
laica e mossa) della preghiera biblica. Oggi prego come un bimbo che
riposa tra le braccia della madre. Conosco le lacrime di gioia e il
grido dell’inquietudine e dell’angoscia. La preghiera
ebraico-cristiana, prima di tradursi in preghiere, è la struttura
interiore per cui penso tutta la vita come un dialogo, come un
attingere alla Sorgente, come un volgere cuore e occhi alla fonte
della vita, la roccia del mio cuore.
Pregare
è riconoscere che sono decentrato da me, che sono situato in una
relazione d’amore che precede, accompagna e supera la mia vita;
significa buttare i miei “lievi” giorni e i miei contati anni tra
le braccia dell’Eterno e affidare a Lui le mie fatiche, le mie
gioie, le mie sconfitte, le mie speranze. La preghiera mi libera
dall’ossessione dell’io, dall’autocentramento e mi ossigena il
cuore nel profondo. Ecco perché (lo sanno bene nella mia comunità e
nelle comunità amiche!) io sono spietato e sferzante verso quei
cristiani che, non più in sintonia con talune forme di preghiera,
cessano di pregare anziché inventare una “nuova preghiera”.
Certo, la preghiera va rinnovata e nella mia vita ho abbandonato
certe forme, ma ne ho scoperte altre che oggi ritengo per me molto
più nutrienti.
Non
sono più legato a novene, tridui, madonne, santini, rosari e
processioni, ma mi sono sempre più accostato alla Bibbia, ai salmi,
alla lettura della parola di Dio, all’eucarestia di gruppo, alla
celebrazione comunitaria del perdono. Amo ricavare anche con
sacrificio dentro la mia vita quotidiana qualche momento di silenzio
in cui apro il mio cuore davanti a Dio. Detesto le forme stereotipe,
ma imparo molto anche dalla preghiera di altre persone e sono
contento che nella mia comunità il canone della messa spesso sia
costruito in gruppo.
Ogni
comunità dovrebbe, a mio avviso, costruire almeno una parte delle
proprie celebrazioni. Io temo gli alberi che hanno le radici tagliate
o secche, cioè i cristiani che non affondano le loro esistenze in un
rapporto con Dio. Nella vita, nella chiesa e nel mondo ci sono troppe
bufere.
Voglio
continuare a nutrire le radici dell’alberello della mia vita con il
dialogo con Dio. I linguaggi sono come le foglie, cambiano di
stagione in stagione, ma il colloquio resta.