DALL'IRAQ AL LIBANO LA NUOVA TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE
Louis Raphael Sako, patriarca cattolico della Chiesa siro-irachena non è mai stato considerato, teologicamente parlando, progressista. Eppure, a inizio Avvento, ha preso carta e penna e per i fedeli ha redatto una "lettura teologica" delle manifestazioni di piazza Al-Tahrir a Bagdad. Nello scrivere, gli sono tornate alla mente le manifestazioni che in quei giorni radunavano giovani anche nelle piazze del Libano. Anche lì, precisa, «principale fattore condiviso dai giovani di entrambi i sessi» era il desiderio «di mantenere fortemente unita la loro patria, i loro legittimi diritti e il loro futuro, affrontando settarismo, discriminazione, emarginazione, esclusione e la corruzione intrinseca che è stata dominante dal 2003».
Secondo il cardinale Sako, l'analogia è chiara: è teologia della liberazione. Quella «nata dal dolore e dall'agonia dei paesi dell'America Latina, a seguito della corruzione politica, amministrativa e finanziaria". Una teologia concentrata sulla cura dei poveri, affamati e oppressi e benedetta da teologi come Gustavo Gutiérrez del Perù, Leonardo Boff del Brasile e Juan Luis Segundo dell'Uruguay...
Ognuno di loro ispirato dall'esempio della "rivoluzione" di Cristo. "Sono venuto perché potessero avere la vita e averla più abbondantemente" (Giovanni 10/10)». A questa "rivoluzione pacifica" il porporato si appella richiamando anche Gandhi e Mandela perché in Iraq si giunga a stabilire pace e vita dignitosa, perché nel martoriato Paese ci sia «un sistema costituzionale nazionale, libero dal settarismo, in cui prevalgano giustizia sociale e stato di diritto in modo che nessuno sia oppresso, affamato, emarginato, sfollato o costretto a migrare». Le manifestazioni irachene hanno fatto 430 giovani morti e 15.000 feriti. E davanti al cardinale che a loro sta dando voce, per il momento, nessuno arriccia il naso.
Filippo Gentiloni
(Il Venerdì, 3 gennaio)
Louis Raphael Sako, patriarca cattolico della Chiesa siro-irachena non è mai stato considerato, teologicamente parlando, progressista. Eppure, a inizio Avvento, ha preso carta e penna e per i fedeli ha redatto una "lettura teologica" delle manifestazioni di piazza Al-Tahrir a Bagdad. Nello scrivere, gli sono tornate alla mente le manifestazioni che in quei giorni radunavano giovani anche nelle piazze del Libano. Anche lì, precisa, «principale fattore condiviso dai giovani di entrambi i sessi» era il desiderio «di mantenere fortemente unita la loro patria, i loro legittimi diritti e il loro futuro, affrontando settarismo, discriminazione, emarginazione, esclusione e la corruzione intrinseca che è stata dominante dal 2003».
Secondo il cardinale Sako, l'analogia è chiara: è teologia della liberazione. Quella «nata dal dolore e dall'agonia dei paesi dell'America Latina, a seguito della corruzione politica, amministrativa e finanziaria". Una teologia concentrata sulla cura dei poveri, affamati e oppressi e benedetta da teologi come Gustavo Gutiérrez del Perù, Leonardo Boff del Brasile e Juan Luis Segundo dell'Uruguay...
Ognuno di loro ispirato dall'esempio della "rivoluzione" di Cristo. "Sono venuto perché potessero avere la vita e averla più abbondantemente" (Giovanni 10/10)». A questa "rivoluzione pacifica" il porporato si appella richiamando anche Gandhi e Mandela perché in Iraq si giunga a stabilire pace e vita dignitosa, perché nel martoriato Paese ci sia «un sistema costituzionale nazionale, libero dal settarismo, in cui prevalgano giustizia sociale e stato di diritto in modo che nessuno sia oppresso, affamato, emarginato, sfollato o costretto a migrare». Le manifestazioni irachene hanno fatto 430 giovani morti e 15.000 feriti. E davanti al cardinale che a loro sta dando voce, per il momento, nessuno arriccia il naso.
Filippo Gentiloni
(Il Venerdì, 3 gennaio)