‟Mafia
potente
Ormai
si è infiltrata dappertutto”
REGGIO CALABRIA -
Arresti in Umbria e Piemonte. Politici che si dimettono quando saltano fuori rapporti con i clan calabresi. C'è chi grida all'assedio, ma il procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, che solo due giorni fa ha decapitato la ’ndrangheta vibonese, arrestando 334 fra boss, affiliati, politici e pubblici funzionari, non sembra stupito. «La ’ndrangheta è presente da decenni in tutta Italia e al Nord si comporta esattamente come in Calabria. Ma c'è stata un’enorme sottovalutazione. Per troppo tempo, addetti ai lavori, giornalisti, persino magistrati, alcuni in buona altri in cattiva fede, hanno parlato di una mafia di pastori e sequestratori. Non è così almeno dagli anni settanta».
Qual è il dato che è sfuggito?
«Primo, che la ’ndrangheta è un'organizzazione unitaria. Lo hanno stabilito le grandi famiglie nel ’69 a Montalto e sentenze di poco successive lo mettono nero su bianco, ma l'importanza di quella riunione per molto tempo non è stata colta. Secondo, la rivoluzione della Santa nel 1970 è il vero salto di qualità».In cosa consiste?
«Con l'istituzione del grado della Santa all'interno della gerarchia mafiosa, si rende possibile la doppia affiliazione, alla ’ndrangheta e alla massoneria deviata: inizia la crescita dell'organizzazione. Cosa Nostra voleva dettare l'agenda allo Stato scegliendo a viso aperto lo stragismo, la ’ndrangheta invece lo ha condizionato dall'interno».
Concretamente cosa è successo?
«Mentre i soldi dei sequestri venivano investiti nel narcotraffico, generando milioni di euro, la Santa permetteva ai boss di entrare in logge in cui, secondo i pentiti, c'erano magistrati, forze dell'ordine, alti quadri dello Stato. Questo ha significato rapporti diretti, oltre alla possibilità di usare questi canali per operazioni di riciclaggio. È a questo livello che c'è il vero potere oggi perché qui si crea il legame con istituzioni, professionisti e politici».
Da Nord a Sud con la politica i rapporti sembrano ormai consolidati.
«Non solo, l'interlocuzione si è invertita. Prima era lo ’ndraghetista a cercare il politico, adesso è il contrario. La crisi industriale ha agevolato il radicamento del clan. Ma in Piemonte la ’ndrangheta c'è dal ’75, vota e fa votare».
A destra o a sinistra?
«La ’ndrangheta non ha ideologie, gestisce denaro e potere. Può condizionare la politica perché è in grado di offrire pacchetti di voti, grazie alla credibilità di cui gode. È diventata un interlocutore per la collettività, occupando gli spazi che la politica ha abbandonato. Oggi il politico sta per strada prima delle elezioni, il capomafia tutti i giorni dà risposte. Sbagliate, male dà. Da qui il consenso, dunque voti».
Anche la capacità di offrire lavoro sembra una leva di consenso.
«Oltre a gestire traffici di droga, grandi appalti, la ’ndrangheta ha in mano attività commerciali, in cui impiega delle persone. Così lega a sé intere famiglie. Diversifica le proprie attività su più livelli, dai mercati finanziari alla bottega, come una multinazionale».
Ci sono gli strumenti per combattere un'organizzazione così radicata e ramificata?
«La politica non ha fatto abbastanza. Siamo sulla sufficienza, se non sotto».Alessia Candito la Repubblica, 21 dicembre 2019