The Hindu, India
Se la crisi climatica è il tema cruciale di questo secolo, la conferenza delle Nazioni Unite a Madrid ha fallito clamorosamente nel tentativo di stimolare gli sforzi per risolverla. Il risultato è particolarmente deprimente se consideriamo che i circa duecento delegati di paesi ricchi e poveri potevano contare su nuovi studi scientifici del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, che denunciano le conseguenze catastrofiche dell'inerzia, e su un'analisi del Programma per l'ambiente delle Nazioni Unite, che sottolinea il divario tra le attuali emissioni di gas serra e i limiti che bisogna rispettare nei prossimi dieci anni. Alla fine la conferenza è degenerata in una disputa sull'istituzione di un mercato dei crediti per l'emissione di gas serra. Alcuni paesi erano decisi ad approfittare dei crediti assegnati in modo discutibile dal meccanismo di sviluppo pulito introdotto dal protocollo di Kyoto del 1997, che aveva preceduto l'accordo di Parigi.
Questo mercanteggiare contrasta con i danni reali causati dagli eventi estremi che ormai colpiscono i paesi più vulnerabili con allarmante regolarità. Ne12017 e nel 2018 i danni coperti da assicurazione, che rappresentano solo una piccola parte di quelli provocati dal cambiamento climatico, hanno raggiunto la cifra record di 225 miliardi di dollari. Questi dati avrebbero dovuto infondere un senso d'urgenza al negoziato sul clima, invece la dichiarazione finale si è limitata a esprimere la preoccupazione per il divario tra le emissioni attuali e i livelli necessari per limitare l'aumento delle temperature a 1,5 gradi.
I negoziatori hanno rinviato all'anno prossimo le questioni più difficili: raccogliere cento miliardi di dollari all'anno per i paesi in via di sviluppo a partire dal 2020, creare un quadro di riferimento per affrontare le perdite e i danni provocati dagli eventi climatici e trasferire ai paesi più poveri le tecnologie necessarie a condizioni ragionevoli. Ma non possono evitare la pressione crescente della società civile, che in molti paesi chiede azioni concrete. Uno dei modelli che saranno studiati attentamente è il green deal annunciato dalla Commissione europea, che prevede l'obiettivo vincolante per gli stati membri di ridurre i gas serra di almeno il 50 per cento entro il 2030 per poi azzerare le emissioni nette nel 2050. Questa linea potrebbe trasformare l'Unione nel leader del movimento globale per il clima, una posizione che gli Stati Uniti non hanno mai assunto e che alla Cina per il momento non interessa.
L'India non puo consolarsi con il fatto di essere uno dei paesi con le più basse emissioni pro capite, perché nel complesso sono destinate a crescere. Potrebbe riuscire a rispettare gli obiettivi volontari previsti dall'accordo di Parigi, ma nel lungo periodo rinunciare ai combustibili fossili è inevitabile. La morte e la distruzione portate dalle tempeste, dalle inondazioni e dalla siccità dovrebbero incoraggiare il governo indiano ad adottare obiettivi più ambiziosi e a coinvolgere i governi locali negli sforzi per limitare il cambiamento climatico e adattarsi ai suoi effetti. as
(Internazionale, 20 dicembre 2019)