Il mercato delle armi
Negli ultimi anni è apparso chiaro a molti osservatori che le "regole del gioco" della comunità internazionale sono cambiate drasticamente rispetto al recente passato: il mondo, uscito dalla guerra fredda, sembrava essere destinato a costruire la pace attraverso un sistema di istituzioni e accordi internazionali. Al contrario, il mondo oggi sembra essere caratterizzato molto chiaramente da una perdita di legittimazione delle istituzioni internazionali e la loro conseguente perdita di efficacia. In altre parole, fino a pochi anni fa, avevamo sviluppato un sistema che, da internazionale, cominciavamo a chiamare "globale", perché immaginavamo che quello che era stato il risultato di una semplice negoziazione tra stati-nazione avesse ormai lasciato il passo, o quantomeno spazio, a regole globali che andassero al di là dei singoli stati - regole che venivano elaborate, formulate e, se necessario, riformulate all'interno di consessi globali. Secondo la mia interpretazione, uno dei fattori, che hanno minato un sistema internazionale fondato su regole per cedere il passo a un altro sistema in cui sembra che sia tornata predominante la componente della forza, è sicuramente il canale che influenza la strutturazione e il rafforzamento di essa, vale a dire la capacità di armarsi degli stati.
CONCORRENZA MONOPOLISTICA
Il mercato delle armi convenzionali in questo periodo di grande pervasività della tecnologia a livello globale è divenuto, infatti, ben più pericoloso rispetto al passato. Esso per molti aspetti è riconducibile a quello che gli economisti definiscono un mercato di concorrenza monopolistica. Questa forma di mercato è solitamente identificabile dalla presenza di un numero elevato di imprese in concorrenza tra loro che producono sovente una varietà di beni differenziati nei medesimi settori produttivi. I beni prodotti dalle imprese sono potenzialmente sostituibili tra loro. In virtù della differenziazione tra i prodotti, le imprese, pur essendo in concorrenza tra loro, si comportano quasi come monopoliste poiché possono fissare i propri prezzi in maniera pressoché autonoma, senza doversi adattare necessariamente a un prezzo di mercato o comunque guardando ai prezzi esistenti esclusivamente come a prezzi di riferimento.
In un mercato così strutturato, le imprese tendono con grande frequenza a generare innovazione in virtù del fatto che, per mantenere la propria capacità di differenziare i prodotti e quindi generare profitti, esse avranno incentivi a sostenere nuovi investimenti. È evidente che questo tipo di attitudine è rafforzata dalla pervasività e diffusione della tecnologia a livello mondiale e in particolare in un cluster di paesi più sviluppati. Un mercato costruito intorno alla differenziazione dei prodotti, tende pertanto a generare profitti elevati in un tempo breve per le imprese innovatrici, e quindi - in assenza di barriere all'entrata - contribuisce a moltiplicare il numero di imprese facendo diminuire i profitti nel lungo periodo. La capacità di differenziazione delle imprese tende, inoltre, a rendere le performance e la profittabilità aziendale stabili nel tempo. Pur in assenza di barriere all'entrata, infatti, in questo tipo di mercato i clienti di un'impresa non cambieranno fornitore a ogni minima variazione di prezzo e le imprese, forti di questa fidelizzazione, saranno al riparo dalla concorrenza - almeno fino all'ingresso sul mercato dell'innovazione successiva. Queste regolari dinamiche osservate nei mercati moderni sono chiaramente desiderabili in settori che producono beni e servizi per le famiglie e i consumatori. Questi, infatti, per soddisfare i propri bisogni, avranno a disposizione una grande varietà di beni differenziati oltre che godere di una crescente innovazione.
NEL MERCATO DELLE ARMI
Se tale strutturazione dei mercati è desiderabile per l'economia in generale, evidentemente non si puo dire lo stesso per il mercato globale delle armi. Le caratteristiche sopra descritte sono sempre più presenti anche nel mercato delle armi. La concorrenza tra produttori di armamenti, infatti, si gioca sempre di più in termini di innovazione tecnologica e differenziazione funzionale, fattori che fanno comparire nel mercato dispositivi d'arma sempre più evoluti dal punto di vista tecnologico, e quindi potenzialmente più letali. I prezzi di tali dispositivi d'arma si presentano sul mercato a un prezzo che nel lungo periodo tende a diminuire, con correlati effetti chiaramente negativi per la pace a livello globale.
In parole più semplici, la tendenza all'innovazione dei prodotti, altrimenti desiderabile, nel mercato delle armi diviene il canale attraverso il quale si rendono disponibili sul mercato volumi e varietà crescenti di dispositivi d'arma, sempre più evoluti dal punto di vista tecnologico e a prezzi decrescenti. Una delle ulteriori conseguenze di un mercato delle armi caratterizzato da concorrenza monopolistica è l'incapacità delle imprese a cooperare, e quindi a colludere per limitare la competizione tra imprese. In linea generale, i mercati di concorrenza monopolistica sono tra quelli considerati preferibili dagli economisti perché in essi la probabilità di collusione tra imprese risulta essere bassa. Chiaramente nell'economia che produce beni di consumo per le famiglie la difficoltà di collusione genera benefici, perché le imprese sono incentivate ad abbassare i prezzi, a migliorare la qualità dei prodotti e a differenziarli innovando. Nel caso del mercato delle armi questa incapacità di collusione tra imprese si traduce, invece, in una sistematica e crescente competizione tra queste. In pratica, le imprese, grazie alla loro capacità innovativa che si traduce in profittabilità, hanno un minor incentivo a colludere tra esse. Una maggiore competizione è il minor incentivo a colludere rendono questo mercato particolarmente difficile da controllare. Questa tendenza rappresenta forse uno degli aspetti del mercato delle armi più pericolosi ma nel contempo più sottovalutati. Tradizionalmente è sempre esistita una sovrapposizione chiara tra interscambio di armamenti, relazioni diplomatiche e alleanze militari.
Tradizionalmente i paesi vendono armi ai propri alleati ma non le vendono ai propri nemici. Così come paesi alleati non vendono armi a nemici comuni. Il mercato attuale, viceversa, potrebbe finanche incrinare le tradizionali alleanze tra stati. Se ammettiamo che le dinamiche di mercato possano avere effetti sostanziali sulle relazioni diplomatiche, allora è anche plausibile che la competizione tra i produttori di armamenti possa condizionare le alleanze tra i paesi. Se da un lato, infatti, il mercato degli armamenti continua a essere fortemente influenzato dalle relazioni diplomatiche e quindi tende a essere più stabile, dall'altro rischia di trasformarsi in veicolo di instabilità delle stesse relazioni diplomatiche. In altri termini, i governi possono ritrovarsi condizionati dalla propria industria militare e di conseguenza operare scelte di politica estera non necessariamente in linea con i partner tradizionali.
Questa incapacità di coordinamento e il conseguente rischio per le alleanze, in particolare, può essere un pericolo per i paesi europei. La natura dell'industria militare europea è strutturata secondo il modello dei "Campioni nazionali", vale a dire gruppi industriali a specializzazione militare sovente di proprietà pubblica. Si pensi a Leonardo in Italia, a Safran, Dcns e Thales in Francia e Navantia in Spagna. In pratica si hanno spesso duplicazioni di spese, investimenti e programmi di R&S per lo sviluppo di competenze ed equipaggiamento in virtù del sostegno da parte dei governi a favore dei 'campioni nazionali'.
DOMANDA-OFFERTA
In sintesi, l'attuale strutturazione del mercato degli armamenti pone un serio rischio per la tenuta del sistema internazionale se consideriamo anche il fatto che il mondo, grazie alla crescita economica sostenuta degli ultimi venticinque anni, ha reso possibile una nuova capacità di armarsi per un numero crescente di paesi tra cui molte autocrazie. In breve, un mercato competitivo per sua evoluzione strutturale dal lato dell'offerta, si ritrova di fronte a una domanda ampia ma frammentata in cui molti tra i paesi clienti non rientrano come protagonisti e regolatori delle istituzioni internazionali.
Non si dimentichi il fatto che il 14 novembre del 2018 il parlamento europeo ha approvato una risoluzione in merito alle esportazioni di armamenti, che rappresenta un durissimo atto d'accusa nei confronti della maggior parte degli stati membri. Gli europarlamentari, infatti, hanno stigmatizzato il fatto che la posizione comune del 2008 del Consiglio - che definiva regole comuni, limiti e criteri per l'esportazione di armi, sia stata disattesa dalla maggior parte degli stati membri. La violazione di essa ha reso possibile, infatti, secondo i parlamentari, che i membri dell`Ue abbiano nei fatti contribuito in maniera sostanziale al disastro umanitario in Yemen poiché, nel solo 2016, il 40% delle licenze europee di esportazione erano state concesse a favore di paesi quali Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti in aperta violazione dei principi della posizione comune citata prima.
La risoluzione, comunque, non conteneva solamente questo durissimo atto di accusa, ma indicava anche alcune misure essenziali per porre finalmente in essere un controllo efficace: controlli indipendenti e sanzioni. Attualmente gli stati sono responsabili delle esportazioni di armamenti e non vi sono meccanismi di enforcement per le violazioni dei principi della posizione comune. Viceversa, è necessaria un'agenzia indipendente europea per il controllo del commercio internazionale di armamenti anche con poteri sanzionatori. Questa, infatti, potrebbe essere interpretata come l'unica strada oramai percorribile alla luce del fatto che molte aziende produttrici di armamenti sono di proprietà pubblica. In parole molto più chiare, le normative e gli accordi esistenti sono di fatto inefficaci perché in molti paesi, lo stato è il principale esportatore di armi ma, nel contempo, dovrebbe anche svolgere la funzione di principale controllore. In Italia, ad esempio, la principale impresa esportatrice di armi è di proprietà statale, vale a dire il gruppo Leonardo (già Finmeccanica).
La strada verso il disarmo è quindi costellata di ostacoli politici ma anche di natura strutturale. Al di là dell'impegno dei singoli stati non si potrà essere ottimisti se la comunità internazionale non si ritroverà d'accordo su misure di questo tipo al fine di preservare il bene pubblico più importante di tutti, vale a dire la pace.
(Mosaico di Pace, dicembre 2019)
Negli ultimi anni è apparso chiaro a molti osservatori che le "regole del gioco" della comunità internazionale sono cambiate drasticamente rispetto al recente passato: il mondo, uscito dalla guerra fredda, sembrava essere destinato a costruire la pace attraverso un sistema di istituzioni e accordi internazionali. Al contrario, il mondo oggi sembra essere caratterizzato molto chiaramente da una perdita di legittimazione delle istituzioni internazionali e la loro conseguente perdita di efficacia. In altre parole, fino a pochi anni fa, avevamo sviluppato un sistema che, da internazionale, cominciavamo a chiamare "globale", perché immaginavamo che quello che era stato il risultato di una semplice negoziazione tra stati-nazione avesse ormai lasciato il passo, o quantomeno spazio, a regole globali che andassero al di là dei singoli stati - regole che venivano elaborate, formulate e, se necessario, riformulate all'interno di consessi globali. Secondo la mia interpretazione, uno dei fattori, che hanno minato un sistema internazionale fondato su regole per cedere il passo a un altro sistema in cui sembra che sia tornata predominante la componente della forza, è sicuramente il canale che influenza la strutturazione e il rafforzamento di essa, vale a dire la capacità di armarsi degli stati.
CONCORRENZA MONOPOLISTICA
Il mercato delle armi convenzionali in questo periodo di grande pervasività della tecnologia a livello globale è divenuto, infatti, ben più pericoloso rispetto al passato. Esso per molti aspetti è riconducibile a quello che gli economisti definiscono un mercato di concorrenza monopolistica. Questa forma di mercato è solitamente identificabile dalla presenza di un numero elevato di imprese in concorrenza tra loro che producono sovente una varietà di beni differenziati nei medesimi settori produttivi. I beni prodotti dalle imprese sono potenzialmente sostituibili tra loro. In virtù della differenziazione tra i prodotti, le imprese, pur essendo in concorrenza tra loro, si comportano quasi come monopoliste poiché possono fissare i propri prezzi in maniera pressoché autonoma, senza doversi adattare necessariamente a un prezzo di mercato o comunque guardando ai prezzi esistenti esclusivamente come a prezzi di riferimento.
In un mercato così strutturato, le imprese tendono con grande frequenza a generare innovazione in virtù del fatto che, per mantenere la propria capacità di differenziare i prodotti e quindi generare profitti, esse avranno incentivi a sostenere nuovi investimenti. È evidente che questo tipo di attitudine è rafforzata dalla pervasività e diffusione della tecnologia a livello mondiale e in particolare in un cluster di paesi più sviluppati. Un mercato costruito intorno alla differenziazione dei prodotti, tende pertanto a generare profitti elevati in un tempo breve per le imprese innovatrici, e quindi - in assenza di barriere all'entrata - contribuisce a moltiplicare il numero di imprese facendo diminuire i profitti nel lungo periodo. La capacità di differenziazione delle imprese tende, inoltre, a rendere le performance e la profittabilità aziendale stabili nel tempo. Pur in assenza di barriere all'entrata, infatti, in questo tipo di mercato i clienti di un'impresa non cambieranno fornitore a ogni minima variazione di prezzo e le imprese, forti di questa fidelizzazione, saranno al riparo dalla concorrenza - almeno fino all'ingresso sul mercato dell'innovazione successiva. Queste regolari dinamiche osservate nei mercati moderni sono chiaramente desiderabili in settori che producono beni e servizi per le famiglie e i consumatori. Questi, infatti, per soddisfare i propri bisogni, avranno a disposizione una grande varietà di beni differenziati oltre che godere di una crescente innovazione.
NEL MERCATO DELLE ARMI
Se tale strutturazione dei mercati è desiderabile per l'economia in generale, evidentemente non si puo dire lo stesso per il mercato globale delle armi. Le caratteristiche sopra descritte sono sempre più presenti anche nel mercato delle armi. La concorrenza tra produttori di armamenti, infatti, si gioca sempre di più in termini di innovazione tecnologica e differenziazione funzionale, fattori che fanno comparire nel mercato dispositivi d'arma sempre più evoluti dal punto di vista tecnologico, e quindi potenzialmente più letali. I prezzi di tali dispositivi d'arma si presentano sul mercato a un prezzo che nel lungo periodo tende a diminuire, con correlati effetti chiaramente negativi per la pace a livello globale.
In parole più semplici, la tendenza all'innovazione dei prodotti, altrimenti desiderabile, nel mercato delle armi diviene il canale attraverso il quale si rendono disponibili sul mercato volumi e varietà crescenti di dispositivi d'arma, sempre più evoluti dal punto di vista tecnologico e a prezzi decrescenti. Una delle ulteriori conseguenze di un mercato delle armi caratterizzato da concorrenza monopolistica è l'incapacità delle imprese a cooperare, e quindi a colludere per limitare la competizione tra imprese. In linea generale, i mercati di concorrenza monopolistica sono tra quelli considerati preferibili dagli economisti perché in essi la probabilità di collusione tra imprese risulta essere bassa. Chiaramente nell'economia che produce beni di consumo per le famiglie la difficoltà di collusione genera benefici, perché le imprese sono incentivate ad abbassare i prezzi, a migliorare la qualità dei prodotti e a differenziarli innovando. Nel caso del mercato delle armi questa incapacità di collusione tra imprese si traduce, invece, in una sistematica e crescente competizione tra queste. In pratica, le imprese, grazie alla loro capacità innovativa che si traduce in profittabilità, hanno un minor incentivo a colludere tra esse. Una maggiore competizione è il minor incentivo a colludere rendono questo mercato particolarmente difficile da controllare. Questa tendenza rappresenta forse uno degli aspetti del mercato delle armi più pericolosi ma nel contempo più sottovalutati. Tradizionalmente è sempre esistita una sovrapposizione chiara tra interscambio di armamenti, relazioni diplomatiche e alleanze militari.
Tradizionalmente i paesi vendono armi ai propri alleati ma non le vendono ai propri nemici. Così come paesi alleati non vendono armi a nemici comuni. Il mercato attuale, viceversa, potrebbe finanche incrinare le tradizionali alleanze tra stati. Se ammettiamo che le dinamiche di mercato possano avere effetti sostanziali sulle relazioni diplomatiche, allora è anche plausibile che la competizione tra i produttori di armamenti possa condizionare le alleanze tra i paesi. Se da un lato, infatti, il mercato degli armamenti continua a essere fortemente influenzato dalle relazioni diplomatiche e quindi tende a essere più stabile, dall'altro rischia di trasformarsi in veicolo di instabilità delle stesse relazioni diplomatiche. In altri termini, i governi possono ritrovarsi condizionati dalla propria industria militare e di conseguenza operare scelte di politica estera non necessariamente in linea con i partner tradizionali.
Questa incapacità di coordinamento e il conseguente rischio per le alleanze, in particolare, può essere un pericolo per i paesi europei. La natura dell'industria militare europea è strutturata secondo il modello dei "Campioni nazionali", vale a dire gruppi industriali a specializzazione militare sovente di proprietà pubblica. Si pensi a Leonardo in Italia, a Safran, Dcns e Thales in Francia e Navantia in Spagna. In pratica si hanno spesso duplicazioni di spese, investimenti e programmi di R&S per lo sviluppo di competenze ed equipaggiamento in virtù del sostegno da parte dei governi a favore dei 'campioni nazionali'.
DOMANDA-OFFERTA
In sintesi, l'attuale strutturazione del mercato degli armamenti pone un serio rischio per la tenuta del sistema internazionale se consideriamo anche il fatto che il mondo, grazie alla crescita economica sostenuta degli ultimi venticinque anni, ha reso possibile una nuova capacità di armarsi per un numero crescente di paesi tra cui molte autocrazie. In breve, un mercato competitivo per sua evoluzione strutturale dal lato dell'offerta, si ritrova di fronte a una domanda ampia ma frammentata in cui molti tra i paesi clienti non rientrano come protagonisti e regolatori delle istituzioni internazionali.
Il caso più eclatante è quello probabilmente dell'Arabia Saudita. Il regno Saudita, infatti, è divenuto in questi ultimi anni uno dei primi spenditori al mondo in armamenti, ma esso non siede tra i membri del Consiglio di sicurezza. Fino a pochi anni fa, infatti, i principali spenditori in termini militari corrispondevano ai membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Questo dato - evidenziato da pochi - è invece cruciale per comprendere quanto un mercato competitivo delle armi possa nuocere alla pace a livello mondiale. Si deve registrare purtroppo che, sebbene i prodromi di tale evoluzione fossero già presenti da diversi anni, una spinta decisiva al rafforzamento di questo scenario si deve sicuramente all'attuale amministrazione americana di Donald Trump. Unitamente al fattore tecnologico vi è sicuramente una discontinuità di natura politica, vale a dire "The Donald". In altre parole, la politica spregiudicata in merito alla difesa e alle esportazioni militari dell'amministrazione Trump hanno creato una notevole discontinuità nel mercato spingendo in maniera sostanziale le grandi imprese americane del comparto militare. A conferma del fattore "The Donald" possiamo leggere la Relazione sulla gestione al 31 dicembre 2016 dell'azienda di stato italiana Leonardo in cui scrive che "… La nuova amministrazione Trump e la maggioranza raggiunta dai repubblicani al Congresso generano aspettative sulla crescita del bilancio della difesa degli Stati Uniti, con effetti attesi anche Sugli Stati europei...".
In breve, "The Donald" ha chiarito da subito di essere il miglior amico dell'industria militare di tutto il mondo. Invertire il trend sarà molto difficile. Sicuramente la possibilità di regolamentate il mercato delle armi dipenderà dal comportamento dei grandi attori e in particolare degli Stati Uniti e quindi le prossime elezioni presidenziali, previste nel novembre del 2020, saranno decisive in questo senso. Nel contempo, andrà risolta l'ambiguità dei paesi europei.
La risoluzione, comunque, non conteneva solamente questo durissimo atto di accusa, ma indicava anche alcune misure essenziali per porre finalmente in essere un controllo efficace: controlli indipendenti e sanzioni. Attualmente gli stati sono responsabili delle esportazioni di armamenti e non vi sono meccanismi di enforcement per le violazioni dei principi della posizione comune. Viceversa, è necessaria un'agenzia indipendente europea per il controllo del commercio internazionale di armamenti anche con poteri sanzionatori. Questa, infatti, potrebbe essere interpretata come l'unica strada oramai percorribile alla luce del fatto che molte aziende produttrici di armamenti sono di proprietà pubblica. In parole molto più chiare, le normative e gli accordi esistenti sono di fatto inefficaci perché in molti paesi, lo stato è il principale esportatore di armi ma, nel contempo, dovrebbe anche svolgere la funzione di principale controllore. In Italia, ad esempio, la principale impresa esportatrice di armi è di proprietà statale, vale a dire il gruppo Leonardo (già Finmeccanica).
La strada verso il disarmo è quindi costellata di ostacoli politici ma anche di natura strutturale. Al di là dell'impegno dei singoli stati non si potrà essere ottimisti se la comunità internazionale non si ritroverà d'accordo su misure di questo tipo al fine di preservare il bene pubblico più importante di tutti, vale a dire la pace.
Raul Caruso, Docente di Economia internazionale presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore