Prima chiesa arcobaleno in Argentina
Nasce a Cordoba in seno alla Chiesa metodista unita
«Il posto è piccolo, ma il cuore è grande. In questo tempio possiamo ospitare tra le 50 e le 70 persone».
Le parole e il sorriso che le accompagna, rivolte al giornalista del periodico argentino "La Voz", sono di Noemí Farré. È pastora e si trova di fronte al tempio del Movimento di riconciliazione della Chiesa metodista unita, che dirige. In Argentina, è la prima chiesa metodista aperta a lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, travestiti, queer, intersessuali, androgini e altro (Lgbt-Qia+).
L'edificio è stato eretto nel centro della città di Cordoba.
Domenica 12 gennaio il "tempio inclusivo" è stato inaugurato con il primo culto. «La Chiesa metodista inclusiva per grazia (Ipg) crede che la salvezza sia raggiunta attraverso la grazia divina e attraverso la fede in Gesù, un dono di Dio, indipendentemente da razza, sesso, genere, identità di genere o orientamento sessuale, perché Dio non ha alcun pregiudizio nei confronti delle persone», spiega la pastora.
All'arrivo al tempio, una croce coperta dalla bandiera multicolore che rappresenta la diversità di genere provoca il primo impatto. «Qui riceviamo tutte le persone. Ci distinguiamo per il fatto che non ci sono condizioni per i membri della comunità Lgbt-Qia+ nel ministero, nella vita ecclesiastica. Una persona della comunità può essere un pastore» spiega.
Farré ritiene che l'Argentina e Cordoba in particolare siano «molto tradizionaliste». «Ci sono 12 testi della Bibbia che sono stati utilizzati contro la comunità Lgbt-Qia+. Nel nostro caso, sosteniamo che non vi è alcun pregiudizio da parte di Dio», dice.
«Per molti anni ho cercato, in altre chiese, di praticare la mia religione. Nei templi, sia evangelici che cattolici, si può dire che l'inclusione è praticata, perché le persone non vengono espulse per il loro orientamento sessuale. Ma ci chiedono di nasconderci, di essere discreti e ci è proibito il percorso ministeriale», afferma. Quando parla non smette di sorridere. E, di fronte a problemi forzati che possono generare polemiche, si esprime con tranquillità e convinzione. «Non vogliamo convincere nessuno. Ma sosteniamo che è nostro diritto esercitare la fede, che nessuno può negarci a causa del nostro orientamento di genere», afferma. (c. g.)
(Riforma, n. 3, 24 gennaio 2020)
Nasce a Cordoba in seno alla Chiesa metodista unita
«Il posto è piccolo, ma il cuore è grande. In questo tempio possiamo ospitare tra le 50 e le 70 persone».
Le parole e il sorriso che le accompagna, rivolte al giornalista del periodico argentino "La Voz", sono di Noemí Farré. È pastora e si trova di fronte al tempio del Movimento di riconciliazione della Chiesa metodista unita, che dirige. In Argentina, è la prima chiesa metodista aperta a lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, travestiti, queer, intersessuali, androgini e altro (Lgbt-Qia+).
L'edificio è stato eretto nel centro della città di Cordoba.
Domenica 12 gennaio il "tempio inclusivo" è stato inaugurato con il primo culto. «La Chiesa metodista inclusiva per grazia (Ipg) crede che la salvezza sia raggiunta attraverso la grazia divina e attraverso la fede in Gesù, un dono di Dio, indipendentemente da razza, sesso, genere, identità di genere o orientamento sessuale, perché Dio non ha alcun pregiudizio nei confronti delle persone», spiega la pastora.
All'arrivo al tempio, una croce coperta dalla bandiera multicolore che rappresenta la diversità di genere provoca il primo impatto. «Qui riceviamo tutte le persone. Ci distinguiamo per il fatto che non ci sono condizioni per i membri della comunità Lgbt-Qia+ nel ministero, nella vita ecclesiastica. Una persona della comunità può essere un pastore» spiega.
Farré ritiene che l'Argentina e Cordoba in particolare siano «molto tradizionaliste». «Ci sono 12 testi della Bibbia che sono stati utilizzati contro la comunità Lgbt-Qia+. Nel nostro caso, sosteniamo che non vi è alcun pregiudizio da parte di Dio», dice.
«Per molti anni ho cercato, in altre chiese, di praticare la mia religione. Nei templi, sia evangelici che cattolici, si può dire che l'inclusione è praticata, perché le persone non vengono espulse per il loro orientamento sessuale. Ma ci chiedono di nasconderci, di essere discreti e ci è proibito il percorso ministeriale», afferma. Quando parla non smette di sorridere. E, di fronte a problemi forzati che possono generare polemiche, si esprime con tranquillità e convinzione. «Non vogliamo convincere nessuno. Ma sosteniamo che è nostro diritto esercitare la fede, che nessuno può negarci a causa del nostro orientamento di genere», afferma. (c. g.)
(Riforma, n. 3, 24 gennaio 2020)