Chiesto l'arresto di un Senatore di Forza Italia
REGGIO CALABRIA -
Voti in cambio di favori futuri. Al mercato della politica calabrese, per essere eletti basta firmare una cambiale con i clan. Per la procura antimafia di Reggio Calabria, lo ha fatto con convinzione Domenico Creazzo, neoconsigliere regionale di Fratelli d'Italia, proclamato dieci giorni fa e finito ieri ai domiciliari per scambio elettorale politico mafioso. E lo ha fatto il senatore di Forza Italia, Marco Siclari, sul cui arresto toccherà alla Giunta per le autorizzazioni esprimersi. «Marco, l'amico mio» per Domenico Laurendi, ‟mandatario elettorale” dei clan di Sant'Eufemia, arrestato ieri dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria insieme ad altri 64 tra capi, gregari e patriarchi del clan Alvaro.
Contro di loro, più di 3.600 pagine di accuse, un tomo che gli agenti hanno dovuto bucare con il trapano e chiudere con fascette per poterlo consegnare agli arrestati.
La fotografia di un clan in grado di controllare mezza Australia da un paesino di 4 mila anime e gestire - dice il procuratore Giovanni Bombardieri - «un mercato elettorale che non ci fa onore». Clienti? «Soggetti per cui era indifferente candidarsi con Fratelli d'Italia, Lega, Forza Italia o altri partiti, pur di essere eletti».
Creazzo, sindaco e uomo forte del centrosinistra è finito in Fdi, al prezzo di sentenze che il fratello Nino si è impegnato ad addomesticare in appello a Reggio Calabria e a Roma grazie «ad un aggancio forte» in Cassazione. Decisioni in grado di rimettere in libertà boss appartenenti alla stessa ’ndrangheta che nel ’94 ha ucciso il padre della moglie Ivana, il brigadiere Dino Fava.
Ma anche lei - svela l’indagine - non ha avuto remore nel dividere cene con parenti di boss o nell’aiutare imprenditori a strappare certificazioni antimafia. Per ripagare i voti ottenuti invece Siclari non avrebbe esitato a bussare alla porta del vicepresidente di Forza Italia, Antonio Tajani, chiamato - dicono gli indagati - a sollecitare un trasferimento su commissione.
Alessia Candito, la Repubblica 26 febbraio