È
il quarto giorno di scontri legato alla nuova legge sulla cittadinanza
in India e il numero delle vittime continua a salire. Sono 20 i morti e
189 i feriti, di cui 60 da colpi d’arma da fuoco, secondo i dati diffusi
dalle autorità di New Delhi, la capitale del Paese dove si stanno
consumando violenze interreligiose tra maggioranza induista e minoranza
musulmana nelle aree periferiche popolate dai cittadini di fede
islamica, nel nordest della megalopoli, a una decina di chilometri dal
centro.
Uomini armati di pietre, sciabole e pistole si aggirano per le
strade terrorizzando la popolazione locale.
Così
il governatore della capitale, Arwind Kejriwal, nella mattinata di
mercoledì ha chiesto l’istituzione del coprifuoco e l’intervento
dell’esercito nelle aree dove si stanno diffondendo gli scontri.
La
presidente del Partito del Congresso, Sonia Gandhi, ha chiesto le
dimissioni del ministro degli Interni, Amith Shah, per non avere
bloccato le violenze e avere consentito che la situazione degenerasse.
Il
primo ministro, Narendra Modi, ha lanciato un appello “alle sorelle e
ai fratelli di Delhi perché mantengano sempre la pace e la fratellanza. È
fondamentale che si ritorni al più presto alla normalità”.
Ma fino ad
ora le sue parole non sono state ascoltate. Durante la notte, c’è voluta
un’ingiunzione dell’Alta Corte di Delhi perché agenti di Polizia
creassero un corridoio di sicurezza per permettere a 20 feriti, sino a
quel momento trattati in un ambulatorio di quartiere, di essere
trasferiti in ospedale. “La polizia e altre agenzie stanno lavorando sul
terreno per assicurare pace e normalità”, ha aggiunto il premier, ma un
giudice della Corte Suprema ha criticato questa mattina la passività
degli agenti sostenendo che, se avessero fatto il loro dovere, molte
vite sarebbero state risparmiate.
Le
violenze sono le più gravi registrate a Delhi dal 1984: gli scontri,
iniziati domenica pomeriggio tra manifestanti favorevoli alla legge
sulla cittadinanza e oppositori sono degenerati, nei due giorni
successivi, in una serie di attacchi da parte di gruppi organizzati che
si sono scatenati contro le comunità musulmane di quelle aree,
devastando e bruciando negozi, case, laboratori, moschee e spesso
aggredendo le persone in strada.
Le
legge che ha scatenato le proteste e approvata lo scorso dicembre
prevede un binario privilegiato per concedere la cittadinanza agli
appartenenti alle minoranze religiose dei tre Paesi confinanti a
maggioranza islamica, Afghanistan, Pakistan e Bangladesh, escludendo
però i cittadini di fede islamica.
Internazionale 28/2