sabato 28 marzo 2020

"IL FALLIMENTO DELLA DIPLOMAZIA" DICHIARA L'INVIATO ONU...

La guerra senza fine

Olivia Cuthberd, The National, Emirati Arabi Uniti
La guerra siriana è la prova del fallimento collettivo della diplomazia, ha detto l'inviato delle Nazioni Unite nel paese, Geir Pedersen, alla vigilia del nono anniversario del conflitto. L'Osservatorio siriano per i diritti umani ha registrato 384mila morti da quando i manifestanti scesero in strada per la prima volta nel 2011 per chiedere le dimissioni del presidente Bashar al Assad. 
La cifra, spiega l'Osservatorio, non comprende i quasi 88mila civili torturati a morte nei centri di detenzione e nelle prigioni di Assad né i 4.100 combattenti lealisti dispersi, le 3.200 persone sequestrate dai jihadisti dello Stato islamico, le 1.800 rapite da altri gruppi estremisti o il numero incalcolabile di altre vittime della guerra.
Il Network siriano per i diritti umani stima che circa 128mila persone non siano mai uscite dalle prigioni del regime. Chi è stato rilasciato fa resoconti orribili delle condizioni all'interno. È così difficile confermare il bilancio delle vittime che l’Onu ci ha rinunciato nel 2016: nel suo ultimo aggiornamento i morti erano 400mila, circa il 2 per cento della popolazione totale della Siria.
Da allora è cambiato poco. Il nono anniversario della guerra dove dovrebbe far riflettere sulla catastrofe umanitaria che ha devastato un paese, ha avuto ripercussioni in tutta la regione e in Europa, e ha cambiato il sistema internazionale per sempre. L'Osservatorio ha stimato che i feriti siano 2 milioni. Secondo l'Onu circa dodici milioni di persone hanno lasciato le loro case.
La rivolta è cominciata il 15 marzo 2011, quando i manifestanti scesero in piazza a Daraa, nel sudovest della Siria, e presto le proteste si diffusero in tutto il paese. Le persone chiedevano la fine del dominio della famiglia Assad, al governo da quarant’anni. Nel giro di poche settimane il bilancio delle vittime si aggravò perché le forze di sicurezza reprimevano brutalmente quelle che erano proteste pacifiche. In risposta, la gente imbracciò le armi.

Il prezzo più alto
‟Un decennio di combattimenti non ha portato altro che rovina e miseria”, ha scritto il 12 marzo su Twitter il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres, ‟e i civili stanno pagando il prezzo più alto”. In questi anni sono stati commessi innumerevoli massacri, che possono essere definiti crimini di guerra e contro l'umanità. Le armi chimiche potrebbero essere state usate centinaia di volte, soprattutto dal regime, uccidendo migliaia di persone. È stato fatto ampio ricorso a torture di massa, esecuzioni sommarie, stupri, rapine e distruzione di proprietà.

Oggi i siriani continuano a morire e a essere trasferiti con la forza e i loro diritti continuano a essere violati, mentre Assad e quello che resta dell'opposizione sostenuta dalle potenze straniere si scontrano in quelle che potrebbero essere le battute finali della guerra. 
Per Assad riprendere il controllo della provincia di Idlib, l'ultima roccaforte dell'opposizione nel nordovest del paese, sarebbe la vittoria finale. 
La sua presa sul potere si stava indebolendo prima che la Russia arrivasse in suo aiuto nel 2015, e ora controlla più del 70 per cento del territorio siriano, grazie anche al sostegno dell'Iran e della milizia libanese Hezbollah, oltre che di decine di gruppi armati vicini a Teheran.
Mentre il conflitto entra nel decimo anno, più di metà della popolazione che la Siria contava prima della guerra è stata costretta a lasciare la sua casa e l'80 per cento di chi è rimasto vive sotto la soglia di povertà. Con l'economia distrutta e tanti profughi e sfollati, la ripresa resta un ideale lontano e le persone cercano di accettare le enormi perdite subite in una guerra che cambia forma ma di cui sembra impossibile vedere la fine.

Internazionale 20 marzo