IL
PESO DELLE PAROLE
Dire
e credere fermamente che Gesù ha dovuto, come noi, cercare la via di
Dio, la Sua volontà e scoprire la sua personale vocazione sembra una
espressione scontata. Non è affatto così. Ancora oggi regna
sovrana, anche in libri di teologi e teologhe la confusione tra Gesù
e Dio. Espressioni come “figlio di Dio”, “verbo incarnato”,
il Dio fatto carne sono dette e ripetute come affermazioni della
divinità di Gesù. La totale ignoranza del linguaggio ebraico e
della storicità di Gesù ebreo permettono ai predicatori e ai
catechisti di ripetere queste parole come dogmi intangibili mentre
sono linguaggi mitologici. Se non partiamo dal Gesù ebreo, ma ce ne
inventiamo uno creato a Nicea e dintorni nel IV secolo, sarà
difficile comprendere il messaggio delle Scritture.
Così
pure la parola tentazione, nella storia cristiana, deve purificarsi
da una certa ossessione delle “tentazioni della carne”. Essa va
ricompresa nel suo senso di prova, sfida, difficoltà… Eccoci posti
di fronte al problema ineludibile del linguaggio. Se ogni domenica si
continua dall’altare a dire che “Gesù è morto per i nostri
peccati”, se fra qualche settimana si farà “l’adorazione della
croce” se si penserà che in ogni ostia c’è tutto Gesù, se a
presiedere l’eucarestia ci saranno solo sempre dei maschi, allora è
segno che la “chiesa gambero” ha vinto la partita.
E
io disobbedisco perché amo la chiesa e non una mummia.
Franco
Barbero