venerdì 6 marzo 2020

IL PESO DELLE PAROLE

Dire e credere fermamente che Gesù ha dovuto, come noi, cercare la via di Dio, la Sua volontà e scoprire la sua personale vocazione sembra una espressione scontata. Non è affatto così. Ancora oggi regna sovrana, anche in libri di teologi e teologhe la confusione tra Gesù e Dio. Espressioni come “figlio di Dio”, “verbo incarnato”, il Dio fatto carne sono dette e ripetute come affermazioni della divinità di Gesù. La totale ignoranza del linguaggio ebraico e della storicità di Gesù ebreo permettono ai predicatori e ai catechisti di ripetere queste parole come dogmi intangibili mentre sono linguaggi mitologici. Se non partiamo dal Gesù ebreo, ma ce ne inventiamo uno creato a Nicea e dintorni nel IV secolo, sarà difficile comprendere il messaggio delle Scritture.
Così pure la parola tentazione, nella storia cristiana, deve purificarsi da una certa ossessione delle “tentazioni della carne”. Essa va ricompresa nel suo senso di prova, sfida, difficoltà… Eccoci posti di fronte al problema ineludibile del linguaggio. Se ogni domenica si continua dall’altare a dire che “Gesù è morto per i nostri peccati”, se fra qualche settimana si farà “l’adorazione della croce” se si penserà che in ogni ostia c’è tutto Gesù, se a presiedere l’eucarestia ci saranno solo sempre dei maschi, allora è segno che la “chiesa gambero” ha vinto la partita.
E io disobbedisco perché amo la chiesa e non una mummia.
Franco Barbero