domenica 29 marzo 2020

RICEVO DA UN AMICO E CONFRATELLO DI MODENA

LE CARCERI DI MODENA UN GIRONE INFERNALE SCONOSCIUTO (Gazzetta di Modena Beppe Manni 18-3.20).

Il coronavirus, la bestia sotterranea ci spaventa. Non sappiamo quello che ci aspetta. Dimentichiamo intanto un altro virus presente in mezzo a noi. Nel carcere di Modena l’otto marzo sono tragicamente morti nove carcerati. “Sono stranieri, sono delinquenti, la situazione è fortunatamente sotto controllo, sono stati quasi tutti trasferiti in altre carceri italiane, così imparano…”. Commentiamo, seduti comodamente sul divano per la paura del contagio coronavirico. E pensiamo ad altro. I giornali non ne parlano più. Maiora premunt…ci sono cose più importanti a cui pensare.

Ma c’è un’altra lettura che siamo costretti a fare aiutati anche dalle buone informazioni che i giornali locali e nazionali hanno fatto per noi. Dunque. I nove morti sono per lo più giovani, lontano dalla patria, soli, sono morti ingurgitando psicofarmaci e metadone sottratti alla vetrina della farmacia saccheggiata. Un suicidio di gruppo annunciato, nato dalla disperazione per la loro situazione. La scintilla della rivolta è stata provocata non solo per la paura del contagio in un luogo chiuso come il carcere, ma anche dalla proibizione delle visite dei parenti e dei contatti esterni. In verità la disperazione covava da lungo tempo a Modena e in tutti gli istituti di pena italiani. Povertà, solitudine, tossicodipendenza, malattia mentale, vecchiaia, totale dipendenza dalla struttura, impediscono l’assunzione di responsabilità. Sovraffollamento: i Carcere di Modena ospitava 560 internati, quando la capienza è di 340. Nonostante le leggi e il dettato della Costituzione, la pena viene ancora vissuta solo come carcerazione, punizione per il reato. E non come un’occasione di riabilitazione e rieducazione, come risarcimento alla società e alle vittime del reato. Tutto questo legato all’insufficienza cronica di personale nonostante il buon lavoro degli agenti di custodia, degli educatori, dei volontari e del personale tutto che lavora in carcere che, sia pure in condizione di difficoltà, non rinuncia responsabilmente al proprio ruolo.
L’istituto carcerario rimane ancora isolato dalla città, impermeabile alle sollecitazioni esterne anche della comunità civile e politica. Questa ferita non va dimenticata. Finita la buriana del virus, Modena deve riflettere su questo gravissimo episodio con incontri e interventi pubblici. Perché la cittadinanza, le istituzioni e l’amministrazione per quanto è possibile, controlli e intervenga al di là delle mura di cemento armato della cittadella fortificata del Carcere. Un dialogo nuovo tra detenuti e mondo esterno lo dobbiamo fare nostro come uomini e donne come cittadini vincendo pregiudizi solidificati. “Solo il rapporto e il dialogo tra i detenuti e il mondo esterno che non esclude nessuno, può aiutare ad assumere responsabilità e a rialzarsi” (dice il Comunicato del Gruppo Carcere-Città).