LE
CARCERI DI MODENA UN GIRONE INFERNALE SCONOSCIUTO (Gazzetta
di Modena Beppe Manni 18-3.20).
Il
coronavirus, la bestia sotterranea ci spaventa. Non sappiamo quello
che ci aspetta. Dimentichiamo intanto un altro virus presente in
mezzo a noi. Nel carcere di Modena l’otto marzo sono tragicamente
morti nove
carcerati.
“Sono stranieri, sono delinquenti, la situazione è fortunatamente
sotto controllo, sono stati quasi tutti trasferiti in altre carceri
italiane, così imparano…”. Commentiamo, seduti comodamente sul
divano per la paura del contagio coronavirico. E pensiamo ad altro. I
giornali non ne parlano più. Maiora premunt…ci sono cose più
importanti a cui pensare.
Ma
c’è un’altra lettura
che siamo costretti a fare aiutati anche dalle buone informazioni che
i giornali locali e nazionali hanno fatto per noi. Dunque. I nove
morti sono per lo più giovani, lontano dalla patria, soli, sono
morti ingurgitando psicofarmaci e metadone sottratti alla vetrina
della farmacia saccheggiata. Un suicidio di gruppo annunciato, nato
dalla disperazione per la loro situazione. La scintilla della rivolta
è stata provocata non solo per la paura del contagio in un luogo
chiuso come il carcere, ma anche dalla proibizione delle visite dei
parenti e dei contatti esterni. In verità la
disperazione covava da lungo tempo
a Modena e in tutti gli istituti di pena italiani. Povertà,
solitudine, tossicodipendenza, malattia mentale, vecchiaia, totale
dipendenza dalla struttura, impediscono l’assunzione di
responsabilità. Sovraffollamento: i Carcere di Modena ospitava 560
internati, quando la capienza è di 340. Nonostante le leggi e il
dettato della Costituzione, la pena viene ancora vissuta solo come
carcerazione, punizione per il reato. E non come un’occasione di
riabilitazione e rieducazione, come risarcimento alla società e alle
vittime del reato. Tutto questo legato all’insufficienza cronica di
personale nonostante il buon lavoro degli
agenti di custodia, degli educatori, dei volontari e del personale
tutto che lavora in carcere che, sia pure in condizione di
difficoltà, non rinuncia responsabilmente al proprio
ruolo.
L’istituto carcerario rimane ancora isolato dalla città, impermeabile alle sollecitazioni esterne anche della comunità civile e politica. Questa ferita non va dimenticata. Finita la buriana del virus, Modena deve riflettere su questo gravissimo episodio con incontri e interventi pubblici. Perché la cittadinanza, le istituzioni e l’amministrazione per quanto è possibile, controlli e intervenga al di là delle mura di cemento armato della cittadella fortificata del Carcere. Un dialogo nuovo tra detenuti e mondo esterno lo dobbiamo fare nostro come uomini e donne come cittadini vincendo pregiudizi solidificati. “Solo il rapporto e il dialogo tra i detenuti e il mondo esterno che non esclude nessuno, può aiutare ad assumere responsabilità e a rialzarsi” (dice il Comunicato del Gruppo Carcere-Città).
L’istituto carcerario rimane ancora isolato dalla città, impermeabile alle sollecitazioni esterne anche della comunità civile e politica. Questa ferita non va dimenticata. Finita la buriana del virus, Modena deve riflettere su questo gravissimo episodio con incontri e interventi pubblici. Perché la cittadinanza, le istituzioni e l’amministrazione per quanto è possibile, controlli e intervenga al di là delle mura di cemento armato della cittadella fortificata del Carcere. Un dialogo nuovo tra detenuti e mondo esterno lo dobbiamo fare nostro come uomini e donne come cittadini vincendo pregiudizi solidificati. “Solo il rapporto e il dialogo tra i detenuti e il mondo esterno che non esclude nessuno, può aiutare ad assumere responsabilità e a rialzarsi” (dice il Comunicato del Gruppo Carcere-Città).