Ragazzi, unitevi per salvare la nostra Europa
di Paolo Rumiz
Uno
scrittore di frontiera racconta con grande pathos lo sgretolarsi di un
sogno bellissimo, quello di un Continente solidale: i populisti sono in
agguato per sfruttare le paure da virus mentre tutti gli Stati danno il
peggio. Ci restano solo i giovanissimi
Dalla
mia finestra ho straordinarie visioni. In un solo colpo d’occhio le
Alpi, la fine del Mediterraneo, il Centro Europa, le Terre del tramonto
portatrici dei venti atlantici, la Cortina di ferro, il fronte della
Grande guerra, l’inizio dell’Eurasia sul ciglione carsico. In questi
giorni, con la Danza della Morte in Europa, questa percezione “a
grandangolo” si è fatta ancora più nitida. Specialmente quando il vento
soffia forte. Come stanotte. Una nottataccia quasi insonne. Ululati,
nevischio, mare nero, nuvolaglia a pelo d’acqua. Buio da lupi. Ma era da
giorni che avevo la sensazione di essere ininterrottamente sveglio.
Scrivevo anche di notte, anche in sogno. Ma stanotte in particolare ho
sentito tutta la mia Europa col fiato sospeso, dai villaggi irlandesi
battuti dall’Atlantico alle isole estreme delle Cicladi, dalle valli più
segrete dei Carpazi al lento fluire della Neva a Pietroburgo. Milioni
di persone vegliavano, incerte sul loro futuro.
Sì,
stanotte il sismografo ballava più del solito. Sentiva arrivare un’onda
d’urto enorme, qualcosa che andava oltre Covid, i bollettini della
Protezione civile e la paura animale di restare senza cibo o ammalarsi.
Era l’Europa che si sgretolava, a velocità impressionante, come la torre
di Babele. I ricchi del Nord che abbandonavano al loro destino il Sud,
tagliavano fuori il Mediterraneo. La filiera alimentare che si
interrompeva. Cina, America e Russia che si fregavano le mani per il
dissolversi del più grande mercato del mondo. Il trionfo del Grande
Fratello sulla solidarietà. Vedevo masse ondeggiare, prive di punti di
riferimento, in balia di fake news propalate da tv a caccia di audience,
e pronte ad affidarsi a uomini della provvidenza o al dominio di remote
intelligenze artificiali. Vedevo Paesi interi distrutti moralmente ed
eticamente, resi afoni dalla dittatura del consumo. La fine di un
magnifico sogno, di un’alleanza che aveva tentato di costruire la
convivenza sulle regole e la democrazia, non sulla potenza
prevaricatrice.
Mi
ero illuso che i fascisti fossero spariti. In fondo Covid aveva
sbugiardato le loro frontiere, come le aveva ignorate il recente
sterminio dei boschi alpini causa tornado. Dimostrava che i migranti non
erano solo gli altri e che l’impoverimento ci trasformava tutti in
potenziali migranti. La porta che noi sbattevamo in faccia ad altri ora
era sbattuta in faccia a noi. Anche gli amiconi di Salvini ce la
sbattevano: anche Orbán che, da bravo ex comunista, si era già rimesso
nelle mani del Cremlino. Perché la conseguenza del sovranismo è
esattamente il suo contrario, la perdita della sovranità. Con l’Italia
ridotta a un Paese dell’America latina col suo Pinochet di turno, o, nel
migliore dei casi, a un parco dei divertimenti per turisti cinesi. La
Jugoslavia insegna, con le visite guidate alle macerie di un mondo che
fu. Tutto smentiva i sovranisti e io mi illudevo che fossero rimasti
ammutoliti nelle loro tane.
La
loro sembrava una sconfitta totale. Invece no. Essi tacevano e tacciono
semplicemente perché aspettano il momento. Si preparano senza fretta,
come gli avvoltoi attorno a una pecora morente. Aspettano, perché in
queste ore siamo proprio noi, uomini ancora liberi, a fare il lavoro per
loro, a spianargli non una strada, ma un’autostrada per il potere. Noi
europei, gli stessi che fino a ieri erano educatamente seduti in un
emiciclo a Strasburgo. Abbiamo alzato muri e reticolati e, dopo aver
distrutto l’educazione civica e il senso dello Stato, abbiamo instaurato
quasi ovunque stati di polizia, senza che si fosse levata quasi nessuna
voce di dissenso. Abbiamo lasciato fare Orbán, e ora costui, ottenuti i
pieni poteri, ha inoculato il virus dell’assolutismo nel cuore di un
corpo democratico. Ma il bello deve ancora arrivare, quando “loro”
usciranno dalle catacombe.
Non
è più tempo di lambiccarsi con le percentuali di Pil. Abbiamo il dovere
del pessimismo, di ipotizzare il peggiore degli scenari per preparare
meglio le difese. Perché siamo già alla conta dei morti. Sarà questa
conta a determinare la spaccatura o meno dell’edificio comune. I ricchi
del Nord scenderanno a più miti consigli solo se avranno una percentuale
di morti simile a quella del Sud. Se così non sarà, essi, da bravi
protestanti, vi leggeranno la controprova divina della loro efficienza
di formiche e della sconsideratezza delle cicale mediterranee, da punire
come imprevidenti scialacquatrici. Ed è tristissimo dover tifare per il
virus, sperare che la pandemia punisca l’arroganza di Johnson o
l’avarizia di Bundesbank, per impedire che questo secondo scenario
diventi realtà. Ed è ancora più triste ammettere che l’esistenza
dell’Unione dipenderà, nei prossimi dieci giorni (tanti il Nord ne ha
dati al Sud per «darsi una regolata»), più dai morti e che dai vivi. Uno
scenario da film horror.
Vorrei
urlare queste cose nelle strade vuote con un megafono, per mettere
paura a chi sta barricato in casa, dire che stiamo per finire come
Pinocchio nella pancia della balena, che senza Europa e senza un comune
piano Marshall siamo fregati, tutti, anche il Nord che si troverà senza
il mercato del Sud. È ora di fare rete sul serio invece di chattare, per
generare un effetto a catena. Questa inerzia imbambolata fa spavento e
se continua di questo passo non c’è futuro se non la guerra, e quella
economica non è meno atroce di quella guerreggiata. Bisogna dirlo, così
come lo dicono gli ultimi sopravvissuti della Shoah e della Resistenza, o
come avrebbe fatto l’immensa Ágnes Heller se non fossa morta da poco,
ebrea ungherese sopravvissuta a tre dittature e spina nel fianco
dell’assolutismo magiaro.
Certo,
posso urlare perché sono vecchio, ed essendo vecchio non ho paura di
niente. È uno dei lussi dell’età ora definita “a rischio”. Ma mi ripugna
lo sfogo fine a se stesso. Non mi importa niente dire, come in Jurassic
Park, alla comparsa del Tirannosauro, «quanto mi secca avere sempre
ragione». Quelli della mia generazione possono al massimo suggerire le
parole, la memoria, la rabbia, la visione. Ma il resto è giusto che lo
facciano i giovani, che il megafono passi a loro. Quelli della mia età
non possono farlo, perché sono quelli che hanno castrato il loro futuro,
tenendoli al guinzaglio del consumismo e contrabbandando la precarietà
con la parola “flessibilità”. Da che pulpito, potrebbero dire persino i
miei figli. E allora perché non andiamo a stanarli questi ragazzi che
grazie a Dio il virus sembra risparmiare, e che hanno riempito piazze
intere contro il ritorno delle nazioni? Non possono essersi dissolti con
la loro magnifica energia! Loro, gli europei che hanno seguito Greta, i
giovani delle Sardine e gli Indignados, le opposizioni in Polonia,
Ungheria, Gran Bretagna.
Non
mi riconosco più in nessuno di questi funesti stati nazione che
riemergono. Non nella Germania che dimentica di essere uscita dalle
macerie grazie all’azzeramento del debito e all’aiuto di manodopera
europea. Non nella Francia che ci ha snobbati fino a ieri. Non nella
Spagna che ha ballato fino all’ultimo sul Titanic che affondava. Non
nell’Inghilterra, in mano a una classe dirigente di dementi spocchiosi.
Non nella Polonia che porta i suoi vescovi a benedire le frontiere. Ma
non mi riconosco nemmeno in questa mia Italia che oggi deve ricorrere a
“eroi” fino a ieri vilipesi (medici, maestri, pubblici ufficiali) dopo
aver spolpato un patrimonio nazionale per ingrassare dei ladri.
Un’Italia che nell’emergenza costruisce più velocemente di chiunque
reparti di terapia intensiva dopo averli smantellati fino a ieri, come
dice l’epicentro stesso del disastro, la Lombardia.
Non
credo a nessuna delle nazioni. Ma agli europei sì. Ai giovani europei,
che saranno le prime vittime del crollo e che proprio per questo devono
fare massa critica per rafforzare l’Europa subito, smantellando
l’economia del saccheggio, partendo da un manifesto in tutte le lingue
capace di dare una sberla ai nostri palazzi ridotti al sonnambulismo.
Ragazzi, dovete uscire dal silenzio, muovervi per evitare la
disgregazione, il si-salvi-chi-può, e che i ricchi diventino ancora più
ricchi e i poveri ancora più poveri. Non voglio che diventiate, se vi va
bene, lustrascarpe di oligarchi in crociera di lusso. Sta a voi evitare
l’imbarbarimento, lo scontro sociale, il saccheggio dei negozi,
l’assalto alla diligenza e di conseguenza la dittatura, come nel Togo o
nella Sierra Leone. E io rifiuto che quelli della mia età si ritrovino a
piangere sulla vostra generazione, quando non abbiamo ancora smesso di
piangere su quella del passato. Quella degli uomini e donne che hanno
fatto l’Europa e che ora la peste si porta via senza nemmeno il conforto
della famiglia.
La Repubblica 2/3