ORTENSIO
DA SPINETOLI, La prepotenza delle religioni,
Chiarelettere,Milano 2020,
pgg.112. Euro 12.00.
Nello
stile pacato, che rispecchia l'animo generoso e mite dell'Autore e di
tutti i veri e vecchi combattenti, Ortensio in queste brevi pagine ci
condensa secoli di storia.
La
prima “prepotenza” sta nel fatto che il potere ecclesiastico ha
spesso identificato e imposto l'ortodossia con la fede e
l'eterodossia con la miscredenza o con l'eresia (pag.8). Mentre Gesù
proveniva dall'esperienza ebraica del molteplice e da una “foresta”
(Gabriella Caramore) di linguaggi, “per i gestori della religione
c'è un solo modo di pensare, di esprimere e celebrare la fede,
quello da essi proposto” (pag.9).
Davanti
alle scienze del linguaggio, con tutte le ricerche
dell'epistemologia, l'osservazione di Ortensio è quanto mai attuale
e valida. Ho voluto documentarlo anni fa nel mio libro “Appello al
popolo di Dio” riportando i documenti ufficiali mai ritrattati dal
magistero ecclesiastico.
Paolo
VI il 5 giugno 1967 disse: “ Le formule dogmatiche sono così
strettamente legate al loro contenuto che qualsiasi alterazione
nasconde o provoca un'alterazione nel contenuto stesso”. Il 4
dicembre 1968, come se non bastasse, aggiunse: “ Non si possono
abbandonare le proprie formule in cui la dottrina è stata ponderata
e autorevolmente definita. Su questo aspetto il magistero della
Chiesa non transige”. Già nel 1965 aveva affermato : “Le formule
a cui ricorre la Chiesa per proporre i dogmi della fede esprimono
concetti che non sono legati ad una determinata forma di cultura
umana e neppure ad una determinata fase del progresso scientifico e
neppure ad una scuola teologica: esse manifestano invece
un'esperienza universale e necessaria. Per questo si dimotrano adatte
a tutti gli uomini di tutti i tempi” (in Mysterium Fidei, AAS 57
-1965, pag.758).
A
più riprese l'Autore ribadisce la constatazione che il linguaggio
religioso tradizionale ha mantenuto prigioniero ogni pensiero
religioso all'interno di un carcere fuori dal quale sei eretico.
Questa è la prepotenza che impedisce alla creatività di esprimersi
. E Ortensio ricorda, con singolare chiarezza e competenza , gli
assoluti cristologici (pgg.20-30) che hanno generato formule
diventate astruse e anacronistiche per le generazioni successive ai
Concili del IV e V secolo. Oggi addirittura impronunciabili. Ne
risulta una chiesa di Cristo ma come azienda “amministrata” da
rappresentanti in suo nome e in sua vece, con il rischio di
sostituirsi allo Spirito di Dio e allo stesso Gesù (pag.33).
E'
chiaro da ogni pagina di Ortensio da Spinetoli che egli pensa,
riferendosi alla prassi e al messaggio di Gesù di Nazareth, ad una
“comunità come comunione”, a partire dagli ultimi. Questo
messaggio del regno di Dio, come inclusività totale, non poteva
piacere né ai Romani né ai sommi sacerdoti. La croce arriva come
conseguenza di questa prassi di Gesù e così l'Autore giustamente
liquida la morte espiatoria di Gesù come contraria alla storia e
all'affermazione della gratuità dell'amore di Dio.
Ortensio
non chiude mai alla speranza:” Nonostante tutto, però, è bene non
lasciare spazio a sentimenti di scoraggiamento: Vangelo e Vaticano II
rimangono pietre miliari nella storia dell'umanità e contengono i
presupposti per cambiarne il corso fino a portarlo a compimento”
(pag.70).
Oggi
credo che, proseguendo la traccia di Ortensio da Spinetoli, non sia
più sufficiente parlare di una chiesa come comunione. E' diventato
necessario, dopo le deludenti dichiarazioni di Francesco a
conclusione del Sinodo Amazzonico, parlare di sinodalità vera,
piena, inclusiva.
Sinodo
oggi è una realtà falsificata perché non realizza ciò che dice e
prospetta.
Solo
una chiesa compiutamente sinodale può convertirsi al Vangelo e
raccogliere le istanze del popolo di Dio.
La
comunione deve tradursi in responsabilità , sinodalità con voto
assembleare deliberativo.
Condivido
pienamente tutte le riflessioni cristologiche di Ortensio da
Spinetoli, ma non concordo su: “eccetto il peccato”
(pag.
31) perché ritengo che anche il nazareno abbia vissuto il suo
personale processo di conversione dal peccato.
Conosco
la vasta discussione teologica al riguardo, ma ritengo plausibile dal
punto di vista storico “il fatto che Gesù, venendo dal Battista
per il battesimo, mostri in modo persuasivo che pensava di essere un
peccatore bisognoso di penitenza” (Hollenbach, The Conversion of
Jesus).
Ritengo
inoltre che i titoli salvatore e redentore vadano attribuiti a Gesù,
come scrive Dupuis, non perché Gesù ci salvi o ci redima, ma
perché ci annuncia e ci testimonia la salvezza che viene solo da
Dio.
Non
posso terminare queste brevi note senza ricordare con enorme
gratitudine quanto ho imparato dalla competente ricerca di Ortensio
da Spinetoli e quanto la sua fede appassionata, e mai enfatica, abbia
parlato al mio cuore e alla generazione conciliare.
Oggi
è una stagione diversa .
La
chiesa gerarchica non deve più estromettere o marginalizzare i
dissenzienti. Oggi i teologi, lo dico con dolore, hanno reso
superfluo questa repressione: si censurano e si tacciono da soli,
appellandosi alla prudenza.
Proprio
per questo mi piace esprimere gratitudine alle persone che hanno
raccolto, anche in queste pagine, la memoria coerente di un credente
e la infaticabile ricerca di un caro fratello nella fede, teologo che
non si è messo la museruola.
Per
questo, a mio avviso, il suo servizio al popolo di Dio sarà prezioso
ancora per molti anni.
Franco
Barbero
Pinerolo
7 aprile 2020 – Comunità cristiana di base
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