martedì 7 aprile 2020

RECENSIONE COME INVITO ALLA LETTURA


ORTENSIO DA SPINETOLI, La prepotenza delle religioni, Chiarelettere,Milano 2020, pgg.112. Euro 12.00.

Nello stile pacato, che rispecchia l'animo generoso e mite dell'Autore e di tutti i veri e vecchi combattenti, Ortensio in queste brevi pagine ci condensa secoli di storia.

La prima “prepotenza” sta nel fatto che il potere ecclesiastico ha spesso identificato e imposto l'ortodossia con la fede e l'eterodossia con la miscredenza o con l'eresia (pag.8). Mentre Gesù proveniva dall'esperienza ebraica del molteplice e da una “foresta” (Gabriella Caramore) di linguaggi, “per i gestori della religione c'è un solo modo di pensare, di esprimere e celebrare la fede, quello da essi proposto” (pag.9).
Davanti alle scienze del linguaggio, con tutte le ricerche dell'epistemologia, l'osservazione di Ortensio è quanto mai attuale e valida. Ho voluto documentarlo anni fa nel mio libro “Appello al popolo di Dio” riportando i documenti ufficiali mai ritrattati dal magistero ecclesiastico.
Paolo VI il 5 giugno 1967 disse: “ Le formule dogmatiche sono così strettamente legate al loro contenuto che qualsiasi alterazione nasconde o provoca un'alterazione nel contenuto stesso”. Il 4 dicembre 1968, come se non bastasse, aggiunse: “ Non si possono abbandonare le proprie formule in cui la dottrina è stata ponderata e autorevolmente definita. Su questo aspetto il magistero della Chiesa non transige”. Già nel 1965 aveva affermato : “Le formule a cui ricorre la Chiesa per proporre i dogmi della fede esprimono concetti che non sono legati ad una determinata forma di cultura umana e neppure ad una determinata fase del progresso scientifico e neppure ad una scuola teologica: esse manifestano invece un'esperienza universale e necessaria. Per questo si dimotrano adatte a tutti gli uomini di tutti i tempi” (in Mysterium Fidei, AAS 57 -1965, pag.758).
A più riprese l'Autore ribadisce la constatazione che il linguaggio religioso tradizionale ha mantenuto prigioniero ogni pensiero religioso all'interno di un carcere fuori dal quale sei eretico. Questa è la prepotenza che impedisce alla creatività di esprimersi . E Ortensio ricorda, con singolare chiarezza e competenza , gli assoluti cristologici (pgg.20-30) che hanno generato formule diventate astruse e anacronistiche per le generazioni successive ai Concili del IV e V secolo. Oggi addirittura impronunciabili. Ne risulta una chiesa di Cristo ma come azienda “amministrata” da rappresentanti in suo nome e in sua vece, con il rischio di sostituirsi allo Spirito di Dio e allo stesso Gesù (pag.33).
E' chiaro da ogni pagina di Ortensio da Spinetoli che egli pensa, riferendosi alla prassi e al messaggio di Gesù di Nazareth, ad una “comunità come comunione”, a partire dagli ultimi. Questo messaggio del regno di Dio, come inclusività totale, non poteva piacere né ai Romani né ai sommi sacerdoti. La croce arriva come conseguenza di questa prassi di Gesù e così l'Autore giustamente liquida la morte espiatoria di Gesù come contraria alla storia e all'affermazione della gratuità dell'amore di Dio.
Ortensio non chiude mai alla speranza:” Nonostante tutto, però, è bene non lasciare spazio a sentimenti di scoraggiamento: Vangelo e Vaticano II rimangono pietre miliari nella storia dell'umanità e contengono i presupposti per cambiarne il corso fino a portarlo a compimento” (pag.70).
Oggi credo che, proseguendo la traccia di Ortensio da Spinetoli, non sia più sufficiente parlare di una chiesa come comunione. E' diventato necessario, dopo le deludenti dichiarazioni di Francesco a conclusione del Sinodo Amazzonico, parlare di sinodalità vera, piena, inclusiva.
Sinodo oggi è una realtà falsificata perché non realizza ciò che dice e prospetta.
Solo una chiesa compiutamente sinodale può convertirsi al Vangelo e raccogliere le istanze del popolo di Dio.
La comunione deve tradursi in responsabilità , sinodalità con voto assembleare deliberativo.
Condivido pienamente tutte le riflessioni cristologiche di Ortensio da Spinetoli, ma non concordo su: “eccetto il peccato”
(pag. 31) perché ritengo che anche il nazareno abbia vissuto il suo personale processo di conversione dal peccato.
Conosco la vasta discussione teologica al riguardo, ma ritengo plausibile dal punto di vista storico “il fatto che Gesù, venendo dal Battista per il battesimo, mostri in modo persuasivo che pensava di essere un peccatore bisognoso di penitenza” (Hollenbach, The Conversion of Jesus).
Ritengo inoltre che i titoli salvatore e redentore vadano attribuiti a Gesù, come scrive Dupuis, non perché Gesù ci salvi o ci redima, ma perché ci annuncia e ci testimonia la salvezza che viene solo da Dio.
Non posso terminare queste brevi note senza ricordare con enorme gratitudine quanto ho imparato dalla competente ricerca di Ortensio da Spinetoli e quanto la sua fede appassionata, e mai enfatica, abbia parlato al mio cuore e alla generazione conciliare.
Oggi è una stagione diversa .
La chiesa gerarchica non deve più estromettere o marginalizzare i dissenzienti. Oggi i teologi, lo dico con dolore, hanno reso superfluo questa repressione: si censurano e si tacciono da soli, appellandosi alla prudenza.
Proprio per questo mi piace esprimere gratitudine alle persone che hanno raccolto, anche in queste pagine, la memoria coerente di un credente e la infaticabile ricerca di un caro fratello nella fede, teologo che non si è messo la museruola.
Per questo, a mio avviso, il suo servizio al popolo di Dio sarà prezioso ancora per molti anni.
Franco Barbero
Pinerolo 7 aprile 2020 – Comunità cristiana di base
Via città di Gap,13 - 340/8615482 – 0121/72857