Una
domanda intelligente
Un
caro saluto a chi in questo momento è in ascolto mi è giunta una
domanda intelligente e molto pertinente: Perché dopo tante ricerche
storiche e teologiche non cambia il vecchio catechismo?
Per
quale motivo nella vita reale, nella liturgia, nella pastorale, nei
catechismi si continuano a ribadire verità tramontate e linguaggi
oggi incomprensibili?
Vorrei
fare qualche osservazione sintetica. E’ chiaro: esiste un divario
incolmabile tra le ricerche storiche, esegetiche, bibliche degli
ultimi due secoli. Sono un capitale di conoscenze di ricerche
davvero preziose. Se lo confrontiamo con il catechismo e la consueta
liturgia e pastorale, ci accorgiamo che sono due mondi molto diversi,
spesso assolutamente lontani ed estranei.
La
teologia che viene somministrata nei luoghi della formazione del
clero è una teologia che sovente non attinge a queste fonti, a
queste ricerche, ma si attiene piuttosto all'ortodossia
catechistica. Qualcuno di voi mi domanderà: esiste una
codificazione fissa,un ordine. Vi leggo le parole che nel 1965 e
negli anni successivi papa Paolo VI ha scritto:” le formule
dogmatiche sono così strettamente legate al loro contenuto che
qualsiasi alterazione nasconde o provoca un' alterazione nel
contenuto stesso. Non si possono abbandonare le proprie formule in
cui la dottrina è stata ponderata e autorevolmente definita. Su
questo aspetto il magistero della chiesa non transige. Le formule a
cui ricorre la chiesa per proporre i dogmi della fede esprimono
concetti che non sono legati ad una determinata forma di cultura
umana e neppure ad una determinata fase del progresso scientifico e
neppure ad una scuola teologica. Esse manifestano invece
un’esperienza universale e necessaria. Per questo si dimostrano
adatte a tutti gli uomini di tutti i tempi”(in Misterioum fidei,
AAS 57_ 1965, pag758).
E'
incredibile, ma chi insegna teologia nei grandi centri della
divulgazione ufficiale, sa che deve attenersi. Ci sono quindi ordini
precisi, confini precisi e sono le regole determinanti per chi assume
l'impegno della docenza in un’accademia, in una università
ecclesiastica. Ancora va da sé che questo è il criterio al quale i
teologi sono vincolati.
Chi
esce dal perimetro dell’ortodossia perde funzione e stipendio e non
crediate che sia così poco. Tutte queste regole sono fissate nel
tempo Paolo VI , che ha inaugurato la stagione delle scomuniche delle
defenestrazioni dei teologi...... Poi hanno seguito il suo esempio i
papi successivi. Così è avvenuto che. oltre al bisogno di sicurezze
che molte persone portano con sé, c'è proprio anche la paura di
perdere una funzione sociale e forse anche la paura di perdere un
ministero al quale si è affezionati.
Ma
oggi guardiamo bene la realtà: non c'è più bisogno della censura.
La
paura di perdere il posto fa in modo che tutti si autocensurino e la
prudenza si confonde con la pusillanimità. Non c'è più bisogno
che il vaticano estrometta un teologo. Il teologo è già diventato
prudente per conto suo. Alla base di questo processo esiste una
patologia delle istituzioni.
Non
trovo parole migliori se non leggere alcune righe del teologo
protestante Tillich
del 1963: “La tradizione è buona ma il tradizionalismo è
cattivo. La tradizione o viene trasformata frequentemente e allora
può essere salvata come realtà vivente. Una conseguenza fatale del
tradizionalismo è l'esclusione di questi processi storici. Sembra
che le conferenze ministeriali tendano ad evitare i problemi
teologici basilari e poi coloro i quali se ne occupano vengono messi
sotto processo. Poche cose hanno contribuito all’irrilevanza del
cristianesimo quanto la scuola di catechismo”. Il discorso del
teologo Tillich prosegue, ma mi fermo a questa considerazione: c'è
l'idea di conservare una tradizione granitica ma non è più un
“transducere” un portare avanti: è semplicemente fossilizzarsi
su delle mummie, su delle pietre. Credono che la fede stia nei
blocchi del palazzo, ma la fede è una casa viva, è un’esperienza
che procede. La tradizione è proprio questo procedere con i
linguaggi del tempi in cui viviamo. Il tradizionalismo è fissare
linguaggi come mummie.
Io
penso che noi dobbiamo evitare di dividere i cuori della comunità
cristiana tenendo conto delle differenze che esistono e, credo,
esisteranno sempre, ma non dobbiamo arretrare nella battaglia.
Dobbiamo invece fare come Gesù: gettare il seme, coltivare il
campo, fare tutto quello che possiamo e dopo, lasciare tutto nelle
mani di Dio, vivere con gioia questa stagione della contraddizione
dentro la chiesa.
Guai
se imitando la politica dell istituzione anche noi ci imprigionassimo
in una nuova ortodossia. La fede, che oltre la teologia, apre i
nostri cuori alla reciproca accoglienza. Anche quando i nostri
pensieri sono lontani, i nostri cuori possono essere vicini. Ma non
ascoltiamo l'invito a chi ci sollecita a tacere, a mediare su tutte
le posizioni, a verniciare il vecchio catechismo. Mettiamo sempre al
centro l’impegno di testimonianza del Vangelo nella vita concreta
di ogni giorno così spesso potremo trovarci uniti pur nelle
distanze culturali e teologiche. Non manchiamo a questo impegno del
rinnovamento del linguaggio religioso.
Finché
la fede sarà un cumulo di dogmi non sarà una narrazione che parla
alla vita. Gesù è stato un grande narratore della fede in Dio, ha
narrato con la sua vita con la testimonianza ha chiamato altri uomini
e altre donne ad entrare in questo impegno di fedeltà di vita di
fedeltà a Dio e agli ultimi, alle ultime della terra.
Buona
serata a voi e un caro saluto.
O
Dio, che sei il soffio che spinge verso un mondo nuovo, fa che non
perdiamo la fiducia nelle mille pentecoste con cui Tu ci aiuti ad
aprire le porte e le finestre che sono chiuse.
Franco
Barbero (Trasposizione scritta del conversazione del 1 aprile a cura
di Franca Gonella e Fiorentina Charrier).