venerdì 3 aprile 2020

UNA DOMANDA INTELLIGENTE


Una domanda intelligente

Un caro saluto a chi in questo momento è in ascolto mi è giunta una domanda intelligente e molto pertinente: Perché dopo tante ricerche storiche e teologiche non cambia il vecchio catechismo?
Per quale motivo nella vita reale, nella liturgia, nella pastorale, nei catechismi si continuano a ribadire verità tramontate e linguaggi oggi incomprensibili?
Vorrei fare qualche osservazione sintetica. E’ chiaro: esiste un divario incolmabile tra le ricerche storiche, esegetiche, bibliche degli ultimi due secoli. Sono un capitale di conoscenze di ricerche davvero preziose. Se lo confrontiamo con il catechismo e la consueta liturgia e pastorale, ci accorgiamo che sono due mondi molto diversi, spesso assolutamente lontani ed estranei.
La teologia che viene somministrata nei luoghi della formazione del clero è una teologia che sovente non attinge a queste fonti, a queste ricerche, ma si attiene piuttosto all'ortodossia catechistica. Qualcuno di voi mi domanderà: esiste una codificazione fissa,un ordine. Vi leggo le parole che nel 1965 e negli anni successivi papa Paolo VI ha scritto:” le formule dogmatiche sono così strettamente legate al loro contenuto che qualsiasi alterazione nasconde o provoca un' alterazione nel contenuto stesso. Non si possono abbandonare le proprie formule in cui la dottrina è stata ponderata e autorevolmente definita. Su questo aspetto il magistero della chiesa non transige. Le formule a cui ricorre la chiesa per proporre i dogmi della fede esprimono concetti che non sono legati ad una determinata forma di cultura umana e neppure ad una determinata fase del progresso scientifico e neppure ad una scuola teologica. Esse manifestano invece un’esperienza universale e necessaria. Per questo si dimostrano adatte a tutti gli uomini di tutti i tempi”(in Misterioum fidei, AAS 57_ 1965, pag758).
E' incredibile, ma chi insegna teologia nei grandi centri della divulgazione ufficiale, sa che deve attenersi. Ci sono quindi ordini precisi, confini precisi e sono le regole determinanti per chi assume l'impegno della docenza in un’accademia, in una università ecclesiastica. Ancora va da sé che questo è il criterio al quale i teologi sono vincolati.
Chi esce dal perimetro dell’ortodossia perde funzione e stipendio e non crediate che sia così poco. Tutte queste regole sono fissate nel tempo Paolo VI , che ha inaugurato la stagione delle scomuniche delle defenestrazioni dei teologi...... Poi hanno seguito il suo esempio i papi successivi. Così è avvenuto che. oltre al bisogno di sicurezze che molte persone portano con sé, c'è proprio anche la paura di perdere una funzione sociale e forse anche la paura di perdere un ministero al quale si è affezionati.
Ma oggi guardiamo bene la realtà: non c'è più bisogno della censura.
La paura di perdere il posto fa in modo che tutti si autocensurino e la prudenza si confonde con la pusillanimità. Non c'è più bisogno che il vaticano estrometta un teologo. Il teologo è già diventato prudente per conto suo. Alla base di questo processo esiste una patologia delle istituzioni.
Non trovo parole migliori se non leggere alcune righe del teologo protestante Tillich del 1963: “La tradizione è buona ma il tradizionalismo è cattivo. La tradizione o viene trasformata frequentemente e allora può essere salvata come realtà vivente. Una conseguenza fatale del tradizionalismo è l'esclusione di questi processi storici. Sembra che le conferenze ministeriali tendano ad evitare i problemi teologici basilari e poi coloro i quali se ne occupano vengono messi sotto processo. Poche cose hanno contribuito all’irrilevanza del cristianesimo quanto la scuola di catechismo”. Il discorso del teologo Tillich prosegue, ma mi fermo a questa considerazione: c'è l'idea di conservare una tradizione granitica ma non è più un “transducere” un portare avanti: è semplicemente fossilizzarsi su delle mummie, su delle pietre. Credono che la fede stia nei blocchi del palazzo, ma la fede è una casa viva, è un’esperienza che procede. La tradizione è proprio questo procedere con i linguaggi del tempi in cui viviamo. Il tradizionalismo è fissare linguaggi come mummie.
Io penso che noi dobbiamo evitare di dividere i cuori della comunità cristiana tenendo conto delle differenze che esistono e, credo, esisteranno sempre, ma non dobbiamo arretrare nella battaglia. Dobbiamo invece fare come Gesù: gettare il seme, coltivare il campo, fare tutto quello che possiamo e dopo, lasciare tutto nelle mani di Dio, vivere con gioia questa stagione della contraddizione dentro la chiesa.
Guai se imitando la politica dell istituzione anche noi ci imprigionassimo in una nuova ortodossia. La fede, che oltre la teologia, apre i nostri cuori alla reciproca accoglienza. Anche quando i nostri pensieri sono lontani, i nostri cuori possono essere vicini. Ma non ascoltiamo l'invito a chi ci sollecita a tacere, a mediare su tutte le posizioni, a verniciare il vecchio catechismo. Mettiamo sempre al centro l’impegno di testimonianza del Vangelo nella vita concreta di ogni giorno così spesso potremo trovarci uniti pur nelle distanze culturali e teologiche. Non manchiamo a questo impegno del rinnovamento del linguaggio religioso.
Finché la fede sarà un cumulo di dogmi non sarà una narrazione che parla alla vita. Gesù è stato un grande narratore della fede in Dio, ha narrato con la sua vita con la testimonianza ha chiamato altri uomini e altre donne ad entrare in questo impegno di fedeltà di vita di fedeltà a Dio e agli ultimi, alle ultime della terra.
Buona serata a voi e un caro saluto.
O Dio, che sei il soffio che spinge verso un mondo nuovo, fa che non perdiamo la fiducia nelle mille pentecoste con cui Tu ci aiuti ad aprire le porte e le finestre che sono chiuse.
Franco Barbero (Trasposizione scritta del conversazione del 1 aprile a cura di Franca Gonella e Fiorentina Charrier).