venerdì 3 aprile 2020

QUEI 55 BAMBINI...


Quei 55 bambini da liberare
Piccoli galeotti, in carcere insieme alle loro madri, resi ancora più diseguali rispetto ai coetanei liberi, che hanno visto riconosciuto il diritto all'aria aperta. E, allora, non sarebbe proprio questo il momento giusto per cancellare un simile oltraggio alla nostra civiltà giuridica?

Inizio modulo

Racconta la Genesi che "il Signore mise un segno su Caino affinché non lo uccidesse chi lo avesse incontrato". Che il sangue non fosse versato, questo voleva il Signore. In nessun caso. Neanche il sangue colpevole, del primo assassino. Iddio, nel suo ottimismo, non pensò di dover proteggere anche il sangue innocente.
Quel sangue che più innocente non si può. Voglio pensare che ci sia questo, una malriposta fiducia, all'origine del fatto che anche ai bambini, gli Innocenti assoluti, accade di finire in galera. Oggi, mentre ci troviamo in una reclusione domestica pesante, ma più o meno privilegiata, 55 bambini sono detenuti all'interno del sistema penitenziario italiano, prigionieri con le proprie madri. Erano 59 qualche giorno fa, ma 4 di loro sono appena usciti con le mamme dalla sezione femminile di Rebibbia, a Roma.
D'altra parte, da due giorni, un'opportuna, seppure contestata, circolare del ministro dell'Interno consente al genitore di muoversi col figlio minore purché in prossimità della propria abitazione. In un articolo su questo giornale, una simile misura era stata sollecitata da Chiara Saraceno che sottolineava l'importanza di "un'ora d'aria" per contribuire all'equilibrio psicofisico dei minori costretti all'attuale quarantena. L'ora d'aria è quel tempo concesso ai detenuti fuori dallo spazio, coatto e in genere miserabile, della propria cella. E quella locuzione può suonare due volte drammatica. Per quanti, quel respiro di libertà non possono godere (i detenuti tutti) se non tra enormi restrizioni, ristrettezze e strettoie; e per quei 55 bambini galeotti resi ancora più diseguali rispetto ai loro coetanei liberi, che hanno visto riconosciuto il loro diritto all'aria aperta. E, allora, non sarebbe proprio questo il momento giusto per cancellare un simile oltraggio alla nostra civiltà giuridica?
Già ora è possibile ricorrere a soluzioni diverse dalla reclusione in cella, come prevede una legge del 2011. Sarebbe sufficiente realizzare un certo numero di case-famiglia, distribuite in 5 o 6 città, il cui costo, secondo una stima attendibile, non supererebbe il milione e mezzo di euro. Sarebbe una di quelle scelte straordinarie, reclamate con forza dal tempo straordinario che viviamo. D'altra parte, come ricorda Sofia Ciuffoletti (Il Foglio del 24 marzo), è esattamente quanto richiesto dall'Organizzazione mondiale della sanità nella sua guida per il Covid-19. Liberare quei bambini trasmetterebbe un importante messaggio: la consapevolezza che il carcere è un luogo a rischio e terribilmente patogeno; e lo è tanto più quanto meno risulta trasparente e conoscibile.
Basti pensare che i numeri del contagio sono oggetto di un tetro tira e molla tra le cifre rassicuranti, fornite dall'amministrazione penitenziaria, e quelle più drammatiche indicate dai sindacati degli agenti. Intanto, un dato certo c'è: ieri è morto un detenuto del carcere bolognese Dozza, Vincenzo Sucato, 76 anni, e sono risultati positivi due reclusi e un poliziotto dello stesso istituto. Per quanto riguarda, poi, gli effetti del decreto "Cura Italia" del 17 marzo sullo stato di abnorme congestione del sistema penitenziario, si ricordi come vi sia prevista la possibilità per i detenuti semi-liberi di restare a dormire fuori dal carcere; e per i condannati fino a 18 mesi quella di scontare la pena ai domiciliari (con l'esclusione di una nutrita serie di categorie di detenuti). Il provvedimento è stato giudicato gravemente inadeguato dai garanti dei diritti dei reclusi e dai sindacati della polizia penitenziaria, da Nessuno tocchi Caino, da Antigone, dal Partito Radicale - che ha pronunciato l'impronunciabile richiesta di amnistia - e dal Csm. La previsione più attendibile è che, a fronte di un sovraffollamento di circa 10-12 mila unità, a uscire sarà un numero assai ridotto di reclusi. Una prima conferma è venuta dal ministro della Giustizia che, a una settimana dal provvedimento, ha dichiarato: "Sono 50 i detenuti che hanno beneficiato della misura" e "150 quelli in semilibertà che hanno ottenuto di non rientrare in carcere la sera".
Se le cose proseguissero con questo ritmo, più che di un fallimento si tratterebbe di una tragica beffa. Mancano informazioni dettagliate, ma se consideriamo un carcere come Rebibbia Nuovo Complesso, dove il sovraffollamento raggiunge il 153%, i dati non fanno presagire nulla di buono.
A oggi si contano 452 domande di accesso alla detenzione domiciliare, 200 inoltrate alla Sorveglianza, Tredice decise: 10 rigettate e 3 accolte. 3 (tre). Il ministro Bonafede, palesemente, è a disagio di fronte a una responsabilità più grande di lui, imbracato da due meccanismi perfettamente identici: il sostegno morale, si fa per dire, di Marco Travaglio e di tutti i giustizialisti di destra e di sinistra; e l'intimidazione morale, si fa per dire, di Matteo Salvini e dei suoi Lanzichenecchi di latta. Quella che ne esce peggio è la salute pubblica, in un luogo così contratto e insidioso come il carcere. Ma, a questo punto, c'è qualche poliziotto penitenziario seriamente convinto che la sua salute interessi davvero qualcosa a Bonafede e a Salvini?

LUIGI MANCONI, LA REPUBBLICA 3 APRILE