Oggi
ricorre la festività ebraica al cui centro c’è la narrazione
sull’Esodo. Tra epidemie e catastrofi ambientali mai così attuale
di Siegmund Ginzberg
Ogni
primavera, gli ebrei celebrano con una cena il ricordo di una terribile
emergenza. Quest’anno è la sera dell’8 aprile. Raccontano l’Esodo, la
fuga dall’Egitto. È una storia di terribili pestilenze, di ribellione
all’arroganza del potere, di schiavi in fuga, di emigranti costretti a
far fagotto in fretta e furia — tanto da non avere il tempo di lasciar
lievitare il pane prima di cuocerlo. La raccontano seguendo un
canovaccio, un Seder , un ordine prestabilito uguale da secoli. Ma nei
commenti dei commensali ogni volta c’è anche qualcosa di nuovo, di
diverso, un accenno all’attualità.
Non
lo fanno in sinagoga ma in casa, in privato. Senza escludere nessuno:
«Questo è il pane della povertà, che i nostri antenati mangiarono in
terra d’Egitto. Vengano tutti gli affamati e mangino: venga alla nostra
festa chiunque sia in bisogno…». Quest’anno però si fa stando ciascuno a
casa propria, gli ospiti dovranno unirsi via internet, con Skype o con
Zoom.
Ho il
cognome di un grande studioso delle Leggende del popolo ebraico , ma la
mia non era una famiglia religiosa. Della mia infanzia a Istanbul
ricordo cene a casa di parenti per Pesach (il passaggio, l’Esodo, così
si chiama la Pasqua ebraica), o Purim o Rohshashanah , altre allegre
occasioni conviviali. Ma una sola visita al tempio, credo per Kippur o
forse per un " meldado ", lettura per i defunti: mi annoiai perché non
capivo le parole. Al mio primo seder da adulto fui invitato — vi
sembrerà strano — quando facevo il corrispondente a Pechino. Poi vennero
gli inviti ai seder a New York. Era l’anno della prima guerra del
Golfo, si temevano missili a testata chimica o batteriologica. Al punto
dove il testo della Haggadah (del racconto di pasqua) dice: «Quel che è
stato per i nostri padri, sarà anche per noi. Poiché non c’è stato solo
uno a volerci sterminare, ma in ogni generazione c’è chi ci vuole
sterminare…», i presenti sussurrarono: «Faraone, e poi Hitler, ora
Saddam Hussein».
La
peste aveva scatenato in tutta Europa massacri di ebrei. Accompagnati
da un’epidemia di fake news. Li accusavano di avvelenare i pozzi,
diffondere il morbo. Gira da secoli l’invenzione atroce per cui a Pasqua
gli ebrei dissanguerebbero bambini cristiani per impastare le loro
azzime. Lo Stürmer , il giornale nazista, vi aveva dedicato un numero
speciale in milioni di copie. Servì a incitare all’Olocausto. È solo da
poco che è stata tolta l’aureola a San Simonino, pretesa vittima del
Seder del 1475 a Trento. La Diocesi ha dedicato al caso una mostra sull’
Invenzione del colpevole .
Di
anno in anno cambiano gli accenti. A lungo, confesso, mi aveva
affascinato l’interpretazione dell’Esodo come ribellione, liberazione
degli oppressi, dei lavoratori maltrattati, addirittura Rivoluzione ,
come suona nel titolo di un fortunato saggio di Michael Walzer. Poi
c’era stato il momento in cui mi sono perso dietro le Sirene e i dubbi
del Mosè e il monoteismo di Sigmund Freud. Pochi testi si prestano come
questo all’interpretazione, alla disquisizione, alle discussioni. Tra
tanti stereotipi sugli ebrei ce n’è almeno uno che mi pare abbastanza
azzeccato: siamo specialisti nello spaccare il capello in quattro.
Nell’antico
racconto non mancano certo richiami, suggestioni, evocazioni,
associazioni d’idee, moniti per l’anno del Covid-19. Tremenda ad esempio
l’insistenza sulle piaghe con cui Dio colpisce l’Egitto perché il
Faraone si ostina a non permettere che se ne vadano liberi i suoi
redditizi schiavi. Il testo martella impietoso, più volte sull’elenco
delle piaghe e su ciascuna di esse: Sangue, Rane, Bestie selvatiche,
Peste degli animali, Ulcere, Grandine, Cavallette, Oscurità, e infine la
più tremenda di tutte: la Morte dei primogeniti. Una sfilza di
catastrofi ambientali ed epidemie. C’è chi si è sbizzarrito, talvolta
arrampicato sugli specchi, per cercare di ricollegare ciascuna delle
piaghe ad una malattia riconoscibile dalla medicina moderna. Tra i più
recenti l’articolo pubblicato sulla rivista medica Caduceus
dall’epidemiologo americano John Marr. L’ipotesi è una concatenazione di
eventi che si avvitano: un’invasione di alghe che colorano di rosso le
acque e le saturano di tossine, la conseguente moria di pesci e rane, la
conseguente anomala proliferazione di insetti portatori di batteri e
virus, il contagio che colpisce il bestiame, poi si estende agli uomini,
le tempeste di sabbia e grandine che costringono ad accumulare nei
granai le messi ancora zuppe, e, infine, le micidiali tossine e funghi
che il frettoloso immagazzinamento sviluppa. È questa l’origine della
moria dei privilegiati, dei "primogeniti", figlio del Faraone compreso,
mentre vengono risparmiati i poveracci, cioè gli schiavi ebrei? Diversi
altri studiosi hanno tirato in ballo la rottura degli equilibri
ecologici, i mutamenti climatici, il non casuale affastellarsi di
catastrofi naturali e catastrofi pandemiche.
Scettici
su simili tentativi di spiegazione "scientifica"? Non avete tutti i
torti. Ma non abbiamo sentito, da parte di molti scienziati coi fiocchi
dire di tutto e il contrario di tutto sul coronavirus? Abbiamo risposte
più plausibili sul perché qualcuno (individui, zone, Paesi interi) viene
colpito di più e altri sembrano cavarsela? Ancora più suggestiva è una
lettura della storia delle piaghe come monito sull’inadeguatezza dei
governanti e l’arroganza dei Paesi che si ritengono invulnerabili. Il
Faraone è accecato perché lui «domina il Nilo», l’Egitto è prospero e
forte, è la Superpotenza assoluta, ha eserciti e scorte. Eppure finisce
in ginocchio, come gli altri.
La
Pasqua ebraica è una ricorrenza soprattutto per i bambini. Il senso è
trasmettere il ricordo di generazione in generazione. Non per niente la
cerimonia inizia con una serie di domande la cui lettura è affidata al
più giovane della compagnia. Infantili sono anche molte delle canzoni
che accompagnano la celebrazione, come la filastrocca del capretto —
resa famosa da Angelo Branduardi come Alla Fiera dell’Est — una
magnifica allegoria della circolarità e interdipendenza delle vicende
del mondo. È una favola per bambini. Ma anche per grandi.
La Repubblica 8/4