Come staremo «più vicini»
Cambiamenti
Il ripensamento del tempo che ci attende: un paradosso della società
globalizzata forse è quello di vivere localmente senza rinunciare a
pensare globalmente
Corriere della Sera 14 Maggio 2020
di Walter Veltroni
«Più vicini». Se fosse questa la lezione da trarre dopo questo incubo? Non tornerà tutto come prima, dobbiamo saperlo.
L’organizzazione
sociale dovrà mutare e con essa i nostri comportamenti individuali e
collettivi. Non solo per la difesa dalla pandemia, la cui minaccia a un
certo punto sarà ricondotta ad una misura accettabile, ma per i
mutamenti radicali che questa ci ha costretto già oggi a introdurre e
che, almeno fino a un nuovo auspicabile boom economico, saranno il
nostro, per obbligo o scelta, nuovo modo di vivere.
Il
vero ripensamento del tempo che ci attende, un paradosso della società
globalizzata, forse è proprio quello di vivere localmente senza
rinunciare a pensare globalmente.
La crisi che stiamo vivendo ci sta insegnando che molti cambiamenti di abitudine, seppure indotti forzatamente, sono possibili.
Si
è imparato a lavorare da casa, ad usare la rete non solo per mandarsi
messaggi ma per riunirsi, discutere, produrre e persino per decidere le
sorti delle nazioni. Abbiamo scoperto il vantaggio di una rete
commerciale di quartiere fatta di piccoli negozi che corrisponda ai
nostri desideri di consumo senza imporci spostamenti che ora ci appaiono
in tutta la loro inutilità. Sentiamo il bisogno che la rete sanitaria
sia più prossima al luogo dove viviamo: ospedali solo per cure
specialistiche e una rete di medicina di base che filtri e accompagni il
malato. Il consumo culturale dovrà vivere di attività radicate nel
territorio. Le scuole aperte il pomeriggio potranno facilitare la
socializzazione e la formazione permanente. Gli uffici della burocrazia
dovrebbero essere diffusi in ogni quartiere delle grandi città e in ogni
piccolo centro.
Quello
che ciò costerà verrà risparmiato in oneri dei trasporti e in
inquinamento. Le nostre città con l’aria pulita e il silenzio nelle
strade ci fanno capire oggi che si possono limitare gli spostamenti
inutili senza comprimere, anzi agevolando, la mobilità di un nuovo modo
di vivere che deve trovare tutto vicino per poter andare ovunque.
Dio
ci scampi dall’idea passatista e retrograda di un mondo bonsai, chiuso
nei confini di ciò che è vicino. Dobbiamo riconquistare tempo e qualità
della vita, non più buttare via una quantità assurda di ore della nostra
esistenza per fare cose che possiamo fare da casa o nel quartiere. In
Italia è stato calcolato che si sprechino circa due ore al giorno per
muoversi. Più che nel resto d’Europa. Servizi ravvicinati e
rafforzamento del telelavoro consentiranno di recuperare tempo e, a
chi si deve spostare per forza — le attività manifatturiere — di
viaggiare meglio. E quindi, in definitiva, di recuperare anch’essi spazi
di vita.
Per
questo, non bastasse il dramma delle famiglie, lo Stato deve
assolutamente debellare il rischio di chiusura della rete di bar,
ristoranti, negozi, teatri, piccole attività artigianali e produttive,
cinema, librerie che costituiscono il tessuto vitale, in ogni quartiere e
in ogni comune, di un paese che si deve immaginare presto fuori da
questa notte scura.
Anche
la democrazia si dovrà avvicinare di più alla vita dei cittadini. I
grandi comuni dovranno aprire uffici di quartiere e anche i luoghi del
formarsi delle decisioni dovranno essere più «corti». Una nuova idea di
democrazia. Fondata sulla sussidiarietà e sull’attiva partecipazione di
ciascuno.
Diffondere
la responsabilità civile significa coinvolgere e responsabilizzare
un’opinione pubblica che rischia altrimenti di essere resa idrofoba
dalle lentezze, le furbizie, le imperscrutabili dinamiche degli
interessi di parte che imbrigliano la capacità di decisione di chi
governa e corrode al fondo la bellezza della democrazia stessa.
Ma
neanche la semplificazione populista, come dimostrano catastroficamente
il Brasile di Bolsonaro e l’America di Trump, riesce a governare
situazioni complesse.
Ci
vuole una politica rigenerata da una partecipazione responsabile
diffusa. L’opinione pubblica non può essere relegata nei recinti dei
tweet rabbiosi e dell’attesa passiva di decisioni che non vengono. Le
istituzioni devono passare dalla melassa del consociativismo a un nuovo
equilibrio bilanciato, in cui chi governa ha più potere e chi controlla
ha più potere.
Ora
in Italia c’è bisogno di lavoro. Il lavoro lo fa l’impresa. Lo Stato
sostiene e promuove e, per parte sua, investe sulle grandi
infrastrutture. E poi aiuta i cittadini, semplificando le procedure,
avvicinando i servizi, restituendo tempo di vita.
«Più vicini». Perché ciò che c’è di più lontano dalla vita dei cittadini è la dittatura di un uomo solo.
«Più vicini», per vivere meglio e per garantire le nostra libertà.
d Decisioni Le istituzioni devono cambiare equilibrio: chi governa ha più potere e chi controlla ha più potere.