mercoledì 17 febbraio 2021

ISTANBUL: ARRESTI QUOTIDIANI DI STUDENTI OMOSESSUALI

 Istanbul, caccia agli studenti gay

È caccia allo studente per le strade del distretto di Kadıköy di Istanbul. 

Arresti quotidiani di studenti, tanti, tantissimi. Il loro numero non è ancora noto anche perché varia di ora in ora, man mano che i giovani manifestanti, inseguiti ovunque dalla polizia, vengono caricati sulle autoblindo. Secondo il Governatore di Istanbul, le persone arrestate sarebbero 134, detenute a Beşiktaş e a Sarıyer e 76 sono state già state rilasciate. Ogni mattina gli accademici della Boğaziçi manifestano, come fanno ininterrottamente da trentadue giorni, contro la nomina a rettore della prestigiosa Università del Bosforo di un accademico, Melih Bulu, esponente del partito di governo. 

Voltano le spalle all’ufficio del rettore di cui chiedono le dimissioni sin dal primo giorno della sua nomina, avvenuta con decreto presidenziale il primo gennaio 2021. 

Da trentadue giorni gli accademici manifestano, immobili, in piedi pernbulIst il Duran Adam (Persona Immobile), la manifestazione nonviolenta del giovane coreografo e ballerino Erdem Gündüz, che durante le proteste di Gezi del 2013, la sera del 17 giugno, alle 21, rimase fermo come un albero al centro della piazza Taksim di Istanbul, resistette sei ore, immobile, e fu poi sostituito da altri manifestanti. 

Da quel momento la protesta gandhiana ideata da Gündüz fa parte dell’armamentario nonviolento anche dei giovani di Boğaziçi. Il professore Bulu è un esponente del Partito della giustizia e dello sviluppo (AKP) e il fatto che il rettore sia non eletto, ma nominato, e per di più dirigente del partito di governo è inaccettabile per gli studenti e per l’intero corpo docenti perché ciò richiama i tempi bui dei periodi più reazionari, quelli delle giunte militari e del potere kemalista, quando il controllo della cultura da parte dello stato era invasivo. Non vogliono che la loro università sia messa sotto tutela, sotto il controllo di Erdoğan che come sappiamo è l’uomo solo al comando del paese. 

Negli ultimi tre giorni i giovani manifestanti sono stati inseguiti ovunque dalla polizia, dispersi nei vicoli del popoloso quartiere Kadıköy nella parte asiatica della megalopoli turca, fucina storica della protesta dei giovani di sinistra e liberal. Si erano dati appuntamento martedì scorso, alle 18, al molo di Kadıköy, gli studenti del Bosforo e, come il quartiere Hisarıüstü nella parte europea della città, dove ha sede l’Università Boğaziçi, era letteralmente blindato con cordoni di centinaia di poliziotti in assetto antisommossa e da altri in borghese a presidio di ogni angolo di questi distretti. Uno schieramento di polizia davvero impressionante: blindati dislocati ovunque; pronti i famigerati TOMA, i cannoni ad acqua, e celerini. I poliziotti erano muniti di enormi scudi a protezione dell’intero corpo, di Taser e di pistole a canna lunga per il lancio di proiettili di gomma e gas di ultima generazione. Sui tetti delle abitazioni, nei pressi del campus, erano appostati i tiratori scelti, quasi come se fossero impegnati in una gigantesca operazione antiterrorismo, ma davanti a loro vi era solo qualche centinaio di studenti giunti da diverse università di Istanbul, a mani nude e solo con i loro slogan con cui rivendicavano il diritto di eleggere democraticamente il loro rettore. Studenti inseguiti nei negozi e nei centri commerciali, trascinati e malmenati lontano dai riflettori dei fotografi. Ai giornalisti erano vietato riprendere le scene dei pestaggi documentati dai ragazzi che mostravano i loro volti e gli arti tumefatti. “Lasciate stare i nostri figli! Lasciate stare i nostri figli!”, gridavano gli abitanti di Kadıköy alla polizia che costringeva minacciosamente i giovani manifestanti senza paura ad allontanarsi e a disperdersi a testa bassa. E puntualmente non è mancata l’ironia degli studenti che gridavano: “Aşağı Bak mayacağız”, ovvero: “Non staremo a testa bassa, perché guardare in basso potrebbe causare problemi alla colonna vertebrale, quindi per un vostro sano futuro non inchinatevi”. In 158 anni di storia dell’Università di Boğaziçi, 159 sono stati gli studenti arrestati, tutti in un solo giorno, tutti lunedì 1° febbraio, quando, dopo più di un mese di proteste, alle ore 21, la polizia in assetto antisommossa è entrata nel campus sud dell’Università e in una sola retata ha arrestato 159 studenti. Ma i giovani non si fermano: marciano, presidiano con straordinaria arguzia e coraggio, con spirito giocoso e nonviolento, ricevono botte, subiscono maltrattamenti, arresti, vengono inseguiti per tutte le vie lungo il Bosforo e a Kadıköy, ma raccolgono la solidarietà degli abitanti che danno vita alla ”tencere tava çalmak″ ovvero alla ″battitura di pentole e padelle″. Puntualmente, da 32 giorni, tutti i giorni, alle ore 21 inizia uno spettacolo davvero incredibile nelle vie dei quartieri ribelli di Istanbul, al richiamo dello slogan ″9’da Cama″, ovvero: ″Alle 21 affacciati alla finestra″, per la battitura delle pentole, per accendere le luci con intermittenza e per gridare i loro slogan. Lo scrivono ovunque i giovani manifestanti e la scritta compare addirittura sul display scorrevole di una farmacia. La solidarietà agli studenti arriva da ogni parte. Un vero spettacolo! Dalle finestre e dai balconi gli abitanti sostengono in questo modo la comunità del Bosforo. Questo tipo di manifestazioni evoca quelle praticate negli anni Ottanta e Novanta, anni di feroce repressione contro gli intellettuali e i movimenti di sinistra. Picchiati e malmenati non sono solo gli studenti, ma anche giornalisti e parlamentari dell’opposizione di sinistra libertaria e filocurda, HDP, accorsi a loro sostegno. La rivolta studentesca dilaga e ai giovani del Bosforo si uniscono gli studenti di altre università, si uniscono il movimento dei diritti civili, gli ambientalisti, i pacifisti, i movimenti femministi, l’agguerrito e variegato movimento di lesbiche, gay, bisessuali, travestiti, transgender, intersessuali e queer, LGBTTIQ. Da ultimo si sono uniti i musulmani anticapitalisti di İhsan Eliaçık. Come quelle di Gezi, della primavera del 2013, diffusesi in tutta la Turchia, queste rivolte hanno più di un punto in comune. Entrambe sono state generate da una decisione calata dall’alto per esercitare un autoritario controllo. Allora i movimenti della società civile non furono consultati sul piano di trasformazione urbana di piazza Taksim e sulla protezione del parco Gezi di Istanbul. Gli ambientalisti si opposero all’abbattimento di centinaia di alberi secolari e la violenta repressione che ne scaturì produsse un’ondata spontanea di proteste antigovernative in tutto il paese. E ora gli studenti si sono visti calare dall’alto la scelta del rettore della loro università. Non lo hanno potuto eleggere con elezioni democratiche come previsto dai regolamenti del Senato accademico. Altro punto in comune è rappresentato dalle manifestazioni nonviolente, molto variegate e gioiose, goliardiche che hanno contraddistinto entrambi i movimenti: quello di Gezi e quello di Boğazici. Ma c’è un terzo punto che li accomuna è il fatto che si tratta di movimenti giovanili, spontanei, creatisi al di fuori delle sedi dei partiti, dei loro apparati. Lontani da una classe politica vetusta, paternalistica, come una casta. Entrambi i movimenti si oppongono al potere dominante, al sistema politico di partiti considerati ormai anacronistici e da un establishment politico-affaristico dal quale si sentono lontani anni luce. Rifiutano non solo la politica autoritaria di Erdoğan col suo moralismo e paternalismo, ma anche la politica di tutti gli altri partiti, visti come apparato di potere che li esclude. Non si rispecchiano nell’attuale classe dirigente, sono preoccupati per il loro futuro e vivono un profondo malessere aggravato da una crisi economica, senza precedenti dal 2002, e dalla imperversante pandemia. Al centro della loro protesta vi è l’autonomia delle accademie, il rifiuto dell’autoritarismo, la libertà di espressione, di religione, la libertà sessuale; l’esigenza di vivere in paese che rispetta i diritti umani e la difesa dell’ambiente. I giovani, emarginati e repressi, si sentono ingabbiati. Gli studenti non ci stanno: repressione, detenzioni, arresti, gas, proiettili di gomma non li scoraggiano. La settimana scorsa un gruppo di studenti del movimento LGBTI aveva allestito una mostra d’arte fotografica sul tema della libertà di espressione, dei diritti di genere, della fratellanza e della pace. Aveva disegnato un arcobaleno, simbolo della comunità LGBTI e del movimento pacifista mondiale su una foto della Kaaba, l’edificio nero al centro della moschea Masjid al-Haram alla Mecca in Arabia Saudita. La Kaaba è il sito più sacro per l’Islam, è considerata la Bayt Allah, la “Casa di Dio” ed è anche la qibla, ovvero la direzione verso cui pregano i musulmani di tutto il mondo. Avere accostato il simbolo del movimento LGBTI al luogo sacro dell’Islam ha suscitato l’indignazione del governo turco e dei vertici della comunità musulmana del paese. Quattro studenti responsabili del disegno sono stati arrestati: due di essi sono finiti in carcere e altri due agli arresti domiciliari per “insulto ai valori religiosi”. “Quattro pervertiti LGBTI sono stati arrestati per aver mancato di rispetto alla Kaaba all’Università del Bosforo”, si legge in un tweet del ministro dell’Interno turco, Soylu. Subito il Governatore di Istanbul ha ordinato il sequestro delle bandiere arcobaleno. La comunità omosessuale è rimasta scioccata da questa ordinanza vista come un tentativo di criminalizzare l’intera comunità gay. La bandiera arcobaleno è così diventata uno dei simboli della rivolta studentesca. Il presidente turco durante un suo intervento al 7° congresso provinciale del suo partito ha detto che non farà un solo passo indietro nella nomina del rettore della Boğaziçi e si è unito all’indignazione tuonando dal palco che il futuro dei giovani in Turchia non sarà mai consegnato ai vandali LGBTI. ″Porteremo i nostri giovani nel futuro, non come LGBT, ma come giovani nella gloriosa storia della nazione che cammina verso il futuro con i nostri elevati valori”, questo di Erdoğan è un linguaggio alquanto intollerante rispetto a quello del 2002 quando in una trasmissione televisiva si esprimeva come un difensore dei diritti di genere con queste parole: “Anche gli omosessuali devono essere legalmente protetti nel quadro dei loro diritti e delle loro libertà”. Per il leader turco non ci sono studenti che protestano e non esiste la comunità LGBTI. “Sei uno studente o un terrorista? Non siete studenti, siete solo dei terroristi che cercano di fare irruzione nell’ufficio del rettore”, ha detto. Subito gli ha fatto eco il suo alleato di governo, Devlet Bahçeli, leader del movimento MHP di estrema destra ultranazionalista: Chi da sostegno agli studenti, in un certo senso da sostegno ai terroristi”. E il rettore Melih Bulu ha dichiarato alla stampa: “Gli studenti hanno il diritto di protestare, ma ora hanno superato ogni limite”. Il tentativo di Erdoğan è quello di portare la migliore università del paese sotto il suo controllo. 

L’antica Università del Bosforo fondata nel 1863 è considerata il cuore del pensiero libero, l’università turca più aperta al mondo occidentale, un’accademia già ribelle nel 2018, dove vive anche il dissenso. Si era già distinta perché si poneva in contrasto con il potere dominante anacronistico e conservatore come l’Università tecnica del Medio Oriente di Ankara. E ora la generazione di Boğaziçi con la sua tipica protesta, goliardica e giocosa, esprime perfettamente quella “cultura tollerante e nonviolenta” che caratterizza la loro storia. Un movimento studentesco straordinario, che attualmente non ha eguali in Europa, manifesta ironicamente al ritmo di brani rap e della musica dei Metallica con l’arguzia e il coraggio contro la pratica della nomina dei ″kayyum″, ovvero dei ″fiduciari″. I kayyum sono custodi, uomini di fiducia del potere dominante messi lì a dirigere i rettorati per controllare che tutto proceda secondo la visione del partito di governo. Dunque non un meritevole accademico, ma un uomo del potere. Il termine kayyum evoca il regime del colpo di stato del 1980, quando i militari li utilizzarono scatenando la persecuzione più feroce della storia moderna turca contro il dissenso e i movimenti di sinistra. Kayyum ricorda anche la pratica dell’AKP di sostituzione nei comuni (in particolare nel sudest a maggioranza curda) dei sindaci eletti democraticamente con uomini fiduciari del partito di governo. Dal tentativo di colpo di stato del 2016, il Partito della giustizia e dello sviluppo, nominando direttamente i rettori delle accademie, ha dunque riportato i kayyum nei campus. Il 12 settembre 1980 l’Università Boğaziçi si vide sbarrare l’ingresso da un carro armato. 

Quarantuno anni dopo un membro dell’AKP viene nominato rettore di quella università contro la volontà del corpo accademico e i suoi cancelli vengono ancora una volta sbarrati, ma questa volta non da un carro armato, ma dalle manette. L’immagine dei cancelli dell’università chiusa con le manette ha fatto il giro del mondo a simboleggiare che ad essere arrestati non sono stati solo i 159 studenti, ma l’istituzione universitaria in sé. 

La protesta proseguirà senza interruzioni, annuncia la comunità del Bosforo, promette che sarà ancora più gioiosa, con presidi mattutini, continuando a voltare le spalle all’ufficio del rettore; con raduni e marce festose, al ritmo rap e di canti e balli.

Mariano Giustino - Huffpost