La parola geografia
L'Italia è piccola e fatta di territori molto diversi. Vista dal Canada o dalla Russia sembra una piccola regione. E invece da Pantelleria a Brunico è come se si cambiasse continente. Abbiamo le montagne più alte d’Europa e i mari più caldi. Si parla sempre del grande patrimonio artistico, assai meno della grande varietà della nostra geografia.
Se la maggioranza dei nostri politici stentano a raggiungere la sufficienza in qualsiasi disciplina, il voto in geografia è molto semplice: zero. Lo dimostra quello che è accaduto dal dopoguerra ad oggi: poche politiche orientate ai luoghi, ma i luoghi piegati agli interessi della politica. Una lunga miopia geografica che ha trovato il suo culmine nei giorni in cui il secondo governo Conte ha chiesto la fiducia al Parlamento. Un fiume di discorsi pieni di astrazioni e frasi generiche. Ogni parlamentare ha parlato come se l’Italia fosse un paese uguale in ogni suo punto, mentre è diverso in ogni sua regione e all’interno di ogni sua regione e di ogni sua provincia e perfino di ogni sua città.
A Messina in pieno centro ci sono anche le baracche di un terremoto che ha compiuto più di cento anni. Palermo cambia appena giri ‘angolo di una strada, a Napoli convivono nella stessa strada ceti popolari e alta borghesia, Venezia è la gondola e Marghera, Livorno non sembra Toscana, e così via.
La miopia geografica si fa ancora più accentuata se pensiamo ai paesi. Quasi tutti gli italiani vengono da genitori o nonni nati in un paese (la madre di Mario Draghi è originaria di Monteverde, un paese nel lembo più orientale dell’Irpinia) eppure da decenni stiamo assistendo a un drammatico spopolamento senza riuscire a fermarlo. È vero che è un processo planetario, ma i paesi delle altre nazioni non hanno la storia dei nostri Comuni. I paesi si stanno trasformando da comunità di persone a catalogo di materiale edile, a musei dello sconforto.
Abbiamo bisogno di un governo europeista, si dice giustamente da più parti. Aggiungiamo che è necessario un governo ferrato in geografia.
FRANCO ARMINIO, L’Espresso 7 febbraio