Ti caccio io o te ne vai tu?
I cinquestelle contrari a Draghi andranno a ingrossare lo sparuto spicchio del Parlamento che darà vita all’opposizione, ruolo che in ogni democrazia è fisiologico e non disonorevole. In un momento di così schiacciante unanimismo, bisognerebbe metterli sotto teca. Verranno invece espulsi dal Movimento, secondo la voga politica dilagante da almeno tre o quattro legislature, riassumibile in poche varianti dello stesso concetto: se non sei d’accordo, ti caccio; non sono d’accordo e dunque me ne vado; tra noi due, qui dentro, uno è di troppo; eccetera.
Ma che fine hanno fatto le minoranze interne di una volta? La Dc era una specie di arco costituzionale al completo, dalla destra alla sinistra passando per ovunque, dal reazionario padronale al sindacalista cislino non mancava niente. Nel Pci convivevano movimentisti e palazzisti, Ingrao e Amendola, placidi socialdemocratici e capipopolo, amici dell’Urss e kennediani. Perfino nel piccolo partito repubblicano c’era una specie di opposizione interna, mazziniana. Se ne dicevano di tutti i colori e nei congressi lo scontro era acceso, ma solo in rari casi le turbolenze interne portavano all’espulsione o all’abbandono della casa politica.
Con il tempo le divergenze di idea e di linea sono diventate offese inaccettabili. E inaccettabile è diventata l’idea stessa che in un partito possano coesistere anime diverse.
Le minoranze di partito non tollerano di rimanere sotto maggioranza, le maggioranze non tollerano di tenersi in casa chi osa contraddire la linea: e l’aggravante è che la linea, con la confusione che c’è in giro, quasi mai dice qualcosa di chiaro e tondo.
La Repubblica 19/2