“Non si può far la nostra felicità senza far quella degli altri”
(A. Genovesi)
Siamo arrabbiati, stanchi e anche un po’ tristi. Il bollettino quotidiano dei contagi e dei morti ogni sera ci rende più buia la giornata.
Le fatiche del governo, le discussioni e i ritardi sui vaccini, la fatica di tanti lavoratori… tutto contribuisce a rendere pesanti le nostre giornate. Ieri ho incontrato un giovane di 19 anni. Abbiamo parlato un po’. Mi confidava: “Sono davvero stufo”. E i suoi occhi dicevano ancora di più: ci vedevo rabbia e rassegnazione. Occhi spersi, carichi di paura. Mi porto in cuore quegli occhi. I nostri giovani stanno portando un peso enorme. Non possono trovarsi, non possono passare un sabato sera a parlare, mangiare una pizza o bere una birra. Non possono fare sport. Faticano con la scuola. Io, alla loro età, sarei impazzito a stare un anno senza giocare a calcio o senza tirare tardi con gli amici alla sera, per mesi. Per questo li porto in cuore. E capisco la loro tristezza. Ma non possiamo rassegnarci alla tristezza che dilaga nella nostra società. “Tempi difficili” non deve diventare sinonimo di “tempi tristi”.
Mi pare illuminante la frase da cui siamo partiti: “È legge dell'universo che non si può far la nostra felicità senza far quella degli altri”. La felicità non sta nella fortuna, non sta nella tranquillità. La felicità non si trova a buon mercato, mai. Ci si può divertire, si possono gustare ottimi cibi, si può ascoltare bella musica, si possono visitare paesaggi da favola. Ma non è detto che quella sia la felicità. Perché la felicità non è “star bene”, ma “far star bene”.
La felicità la troviamo quando siamo in sintonia con la nostra vera missione: curare la felicità degli altri. Lo sanno bene i genitori che si spendono per i loro cuccioli: essi “si sciolgono di gioia” di fronte ad un sorriso dei figli. Lo sanno gli educatori: fanno salti di gioia di fronte ad ogni progresso dei loro ragazzi. Lo sanno gli innamorati: toccano il cielo ogni volta che riescono a far felice l’amato o l’amata. Lo sanno i lavoratori: sono contenti quando vedono altri contenti grazie al loro lavoro. Lo sanno i preti: sobbalzano di gioia quando riescono a rendersi utili agli altri. Lo diceva bene John Stuart Mill : “Sono felici solamente quelli che si pongono obiettivi diversi dalla loro felicità personale: cioè la felicità degli altri, il progresso dell’umanità, perfino qualche arte, o occupazione perseguiti non come mezzi, ma come fini ideali in se stessi. Aspirando in tal modo a qualche altra cosa, trovano la felicità lungo la strada.”. Siamo fatti per essere sbilanciati, non autocentrati. Quando ti sbilanci in favore di altri, allora trovi il vero “te”. In questa luce il tempo della pandemia è sicuramente una buona occasione per “sbilanciarci” verso altri. Oggi più che mai è necessario darci vicendevolmente una mano. E provare la verità della Parola del Signore che dice: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Saremo più affaticati, ma sicuramente più felici.
"Le Parole per dirlo"
Derio Vescovo
L'Eco del Chisone 27 gennaio 2021