La Chiesa nel confessionale
La richiesta del Papa di un Sinodo della Chiesa italiana è arrivata alla fine dell’udienza concessa ieri all’ufficio catechistico nazionale della Cei. Ed è stata del tutto esplicita: «Deve cominciare un processo di Sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi».
Francesco non lo impone, certo, anche perché non spetta a lui convocarlo, ma la perentorietà delle sue parole, una sorta di bacchettata, richiede una risposta immediata.
Il Papa, infatti, come raramente aveva fatto prima, sembra abbia voluto parlare da primate della Chiesa italiana.
Sullo sfondo del pontificato in corso è rimasto ancora insoluto il tema del rinnovamento della comunità ecclesiale del nostro Paese in scia al magistero di Francesco. Le resistenze fra vescovi, clero e fedeli alla «Chiesa in uscita» proposta dal Papa sono state diverse in questi anni e ancora sono presenti, alcune con attacchi espliciti, altre silenti ma in modo non meno subdolo.
Al convegno ecclesiale di Firenze, nel 2015, Bergoglio si chiese se non fosse arrivato il tempo di un Sinodo, un raduno per discutere apertamente su come agire. Ieri la domanda è divenuta richiesta. Non solo, il Papa ha anche alzato la posta: non basta un semplice raduno sinodale, serve piuttosto un cammino sul territorio, diocesi per diocesi, parrocchia per parrocchia. Tutti, in sostanza, devono avere voce ed essere ascoltati.
In questi anni anche le gerarchie più vicine al Papa, dal cardinale Gualtiero Bassetti in giù, hanno avuto qualche perplessità, se non altro logistica, in merito al Sinodo.
Organizzare un raduno del genere richiede un dispendio di energie difficile soprattutto in questo tempo di pandemia.
Non se la sentì il cardinale Angelo Bagnasco, che lasciò la guida della Cei nel 2017 pensando probabilmente fosse giusto che la convocazione toccasse al suo successore. Ma non se l’è sentita fino a oggi neppure Bassetti probabilmente per la paura di suscitare malumori nella parte dell’episcopato, minoritaria ma combattiva, più conservatrice. Bassetti lascerà la presidenza nel 2022. Ha dunque tempo per impostare un lavoro che poi dovrà essere condotto e portato in porto da chi prenderà il suo posto. Che Francesco fosse spazientito dal silenzio con cui la Chiesa italiana ha accolto la sua richiesta del 2015 è noto.
Fu lui stesso, nel maggio del 2019, a comunicare il suo disappunto in Laterano durante il convegno della diocesi di Roma. Spiegò che tutti avevano trovato il suo intervento a Firenze bello: «Che bello, quel discorso! Ah, il Papa ha parlato bene, ha indicato bene la strada», dissero. «E dagli con l’incenso», continuò Bergoglio. E ancora: «Ma oggi, se io domandassi: “Ditemi qualcosa del discorso di Firenze” — “Eh, sì, non ricordo…”. Sparito. È entrato nell’alambicco delle distillazioni intellettuali ed è finito senza forza, come un ricordo».
Certo, non tutti hanno nascosto la testa sotto la sabbia.
Civiltà Cattolica, ad esempio, la prestigiosa rivista dei gesuiti, è stata uno dei pochi media cattolici a seguire il Papa. Fra le sue firme, era stato in particolare padre Bartolomeo Sorge, recentemente scomparso, a dire che un Sinodo avrebbe aiutato la Chiesa a superare due tentazioni: quella del pelagianesimo, il riporre «la propria fiducia e sicurezza nelle strutture, nell’organizzazione, nella pianificazione perfetta elaborata a tavolino, finendo con legalizzare e burocratizzare la pastorale e col mortificarne ogni creatività». E quella dello gnosticismo, il «rifugiarsi nello spiritualismo intimistico e disincarnato che porta la Chiesa all’autoreferenzialità, a ripiegarsi su sé stessa, a preoccuparsi soprattutto dei suoi problemi interni, a chiudersi tra le mura del tempio, ossessionata dall’osservanza delle norme canoniche».
Per la Chiesa italiana accettare la sfida non è semplice.
Significa entrare in un lavoro che non dà certezze, che può condurre in porti non sicuri, fino a far emergere dal basso necessità e richieste non preventivabili. È uno sforzo che negli ultimi decenni la Cei ha fatto suo a fasi alterne. Le gerarchie l’hanno guidata dall’alto. Le voci dal basso, soprattutto se dissonanti, sono spesso state fatte tacere. Ma oggi è il momento di cambiare. Lo richiede il Papa.
Paolo Rodari, La Repubblica 31 gennaio