Cosa resterà della memoria dell’orrore senza i testimoni?
Valerio De Cesaris
27 gennaio 2021
Domani
Oggi
l’imperativo della tradizione ebraica “Zakhòr” (“ricorda!”), ha
acquistato un valore universale, in riferimento alla Shoah. Tanto che
nel 2005 l’Onu ha istituito il Giorno della memoria, da celebrarsi ogni
27 gennaio.
Gli interrogativi che il
Giorno della memoria pone sono molti. Come ricordare, quando la
generazione dei testimoni si sta esaurendo?
Auschwitz
è una pietra d’inciampo nella coscienza della civile Europa. È un nome
incancellabile. Dimenticarlo, significherebbe tradire il ricordo delle
vittime del genocidio, ma anche abbassare la guardia di fronte al
razzismo e all’antisemitismo.
Settantasei
anni sono trascorsi da quando, nella gelida mattina del 27 gennaio
1945, i soldati dell’Armata Rossa varcarono i cancelli di Auschwitz e si
trovarono di fronte l’orrore del lager nazista. I sovietici liberarono
circa 7000 prigionieri ancora in vita. Videro le macerie dei forni
crematori, fatti saltare in aria dai tedeschi nel tentativo disperato di
occultare le prove del genocidio. Si addentrarono tra i sentieri e gli
edifici di quel luogo di morte, in cui in breve tempo erano state uccise
oltre un milione di persone, dopo la “soluzione finale” decisa da
Hitler contro gli ebrei.
Oggi
l’imperativo della tradizione ebraica “Zakhòr” (“ricorda!”), ha
acquistato un valore universale, in riferimento alla Shoah. Tanto che
nel 2005 l’Onu ha istituito il Giorno della memoria, da celebrarsi ogni
27 gennaio. Da allora, si sono moltiplicate le iniziative culturali e
pedagogiche, come il treno della memoria, i viaggi delle scuole ad
Auschwitz. Visitare quel lugubre angolo d’Europa, in una sorta di
pellegrinaggio civile, è necessario.
Assistiamo
però al paradosso di una memoria istituzionalizzata e celebrata con
solennità che non riesce ad arginare l’antisemitismo, che anzi aumenta,
dilaga nel web ed esplode non di rado in atti di violenza contro gli
ebrei, in molti paesi.
SE QUESTO È UN UOMO
Per
questo gli interrogativi che il Giorno della memoria pone sono molti.
Come ricordare, quando la generazione dei testimoni si sta esaurendo?
Chi raccoglierà l’eredità di quegli ex deportati, che attraverso il
doloroso racconto delle persecuzioni subite hanno mostrato l’abisso in
cui l’umanità sprofonda quando si scatenano gli odi più oscuri? Come
trasmettere la coscienza storica a un mondo affetto da presentismo,
schiacciato sull’oggi, privo di visioni per il futuro e incapace di
trarre lezioni dal passato?
C’è anche,
come una pagina nascosta della Storia, la vicenda dei rom, ai quali la
coscienza europea non ha mai riconosciuto di essere stati vittime della
persecuzione, sebbene nei lager nazisti ne siano stati uccisi centinaia
di migliaia, forse mezzo milione. Il loro è un genocidio dimenticato.
Sempre colpevoli, i rom, agli occhi degli italiani e degli europei. Sono
un popolo considerato ancora oggi “abusivo”, intruso. L’Europa del
secondo Novecento si è interrogata sulla violenza scaturita
dall’antisemitismo, mentre ha continuato a ignorare l’antigitanismo.
Auschwitz
è una pietra d’inciampo nella coscienza della civile Europa. È un nome
incancellabile. Dimenticarlo, significherebbe tradire il ricordo delle
vittime del genocidio, ma anche abbassare la guardia di fronte al
razzismo e all’antisemitismo, spettri che incombono minacciosi anche sul
nostro tempo. “Mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il
tuo ricordo, Gerusalemme”, recita un salmo della Bibbia. “Mi si attacchi
la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, Auschwitz”,
dovremmo anche dire.
Ogni memoria, anche
quella forte della Shoah, va alimentata dalla cultura e dalla
conoscenza storica, altrimenti sbiadisce e diventa mera retorica. Per
ricordare davvero, occorre avere senso storico e comprendere i rischi
che la dimenticanza del passato pone nel nostro tempo. Non si tratta di
fare analogie improbabili tra il passato e il presente, ma di trarre dal
passato qualche lezione.
Alcuni giorni
fa è circolata sui social la fotografia di un uomo nudo, inginocchiato
sulla neve, con lo sguardo a terra, visibilmente disperato. Un migrante
intrappolato in un campo in Bosnia, lungo quella rotta balcanica che è
diventata un attraversamento dell’inferno per chi spera di raggiungere
l’Europa. All’immagine molti hanno associato la celebre poesia di Primo
Levi: “Voi che vivete sicuri / nelle vostre tiepide case, / voi che
trovate tornando a sera / il cibo caldo e visi amici: / considerate se
questo è un uomo…”.
Auschwitz è il
simbolo della privazione dell’umanità. Continuare a farne memoria ha
soprattutto il senso di condannare e di combattere ogni privazione di
umanità nel tempo in cui viviamo.