Navalnyj il camaleonte
“Come molti politici russi, Aleksej Navalnyj ha sviluppato la sua visione del mondo negli anni novanta, sotto il predominio dell'ideologia liberista”, scrive su Iacobin Aleksej Sachnin, attivista e militante del gruppo di sinistra russo Levyj Front. “Nel 2000 è entrato nel partito liberale Iabloko. In quegli anni, per sua stessa ammissione, era un classico neoliberista, favorevole a bassa spesa pubblica, privatizzazioni radicali, riduzione delle tutele sociali e libertà totale per le aziende. Ben presto, però, si è reso conto che il liberismo non avrebbe fatto breccia tra i russi. Così ha trovato una nuova nicchia. Alla fine degli anni duemila si è dichiarato nazionalista. Ha partecipato a manifestazioni di estrema destra, ha dichiarato guerra all'immigrazione illegale e ha lanciato una campagna contro i sussidi del governo alle repubbliche autonome del Caucaso. In quegli anni le idee di destra erano molto diffuse e Navalnyj sperava di approfittarne”. Tuttavia, sottolinea Sachnin, “non si è mai mischiato ai ducetti da due soldi. E presto ha trovato una collocazione che lo ha reso popolare anche oltre i confini della destra radicale: è diventato il principale attivista anticorruzione del paese. Sostenendo l'idea che la vera causa dell’inefficienza dello stato è la corruzione, ha conquistato la simpatia delle classi medie”.
Poi, tra il 2011 e il 2013, la Russia è stata investita da una grande ondata di proteste contro i brogli alle elezioni legislative e il crescente autoritarismo del regime. “Navalnyj ha partecipato alla mobilitazione”, scrive Sachnin, “ma non è riuscito a prenderne la guida. Si è guadagnato il sostegno della classe media urbana, ma non quello dei lavoratori e della maggioranza povera del paese. Da quelle proteste ha però imparato una lezione importante: per conquistare la gente bisogna puntare su un populismo sociale di sinistra”. Tra le sue proposte ci sono l'aumento delle pensioni e degli stipendi dei dipendenti pubblici. “La strategia social-populista ha funzionato. E Navalnyj ha anche cambiato il linguaggio usato per denunciare la corruzione: non insiste più sull'inefficienza dello stato, ma sottolinea le disuguaglianze sociali, mettendo a confronto il lusso degli oligarchi con la povertà della gente”.
Secondo Sachnin, “Navalnyj ha davanti un compito molto difficile: conquistare il sostegno della maggioranza dei russi senza alienarsi o impaurire la classe dirigente. Per questo è attento a fare in modo che il suo social-populismo non oltrepassi certi limiti. Il risultato è che le dure critiche al lusso in cui vivono gli uomini vicini a Putin non diventano mai proposte davvero radicali”. Navalnyj, tuttavia, sa bene che in Russia è impossibile prendere il potere con le elezioni, e che “la lotta deve essere trasferita su un altro piano”. “Con lo spettacolo del suo ritorno ha stracciato il copione che il Cremlino aveva scritto per la campagna elettorale del voto legislativo di settembre. Nessuno è più interessato ai partiti e ai loro programmi. La battaglia riguarda Navalnyj. Dopo anni d'immobilismo, tutte le speranze di cambiamento sono legate al suo nome. E questo impedisce ogni discussione sulla forma che il cambiamento dovrebbe avere”.
“La politica russa è ormai uno scontro personale tra Putin e Navalnyj”, scrive il politologo Peter Rutland su Transitions online. “E la lotta è impari: il presidente ha dalla sua le risorse dello stato, un sistema legale compiacente e l'apparato militare. Navalnyj è Davide di fronte a Golia. La sua unica arma sono i video in cui denuncia la corruzione del sistema”. Secondo Rutland, “in questi anni Putin si è costruito un'immagine di leader maschio e tutto d'un pezzo, unico salvatore della patria. In Navalnyj, però, ha trovato la sua nemesi: un uomo che ha dimostrato tutto il suo coraggio affrontando difficilissime prove fisiche e pronto a morire per la causa”.
Internazionale 5 febbraio