Malati come gli altri
Samuele Revel
Nel 1969, i più scatenati andavano a Woodstock, i più sfortunati andavano in Vietnam ma quelli che
sapevano
che strada scegliere, li mandavano a Claymoore», dove per Claymoore si
intende un famoso manicomio degli Stati Uniti, e le prime righe sono le
prime battute del film Ragazze interrotte.
La stessa situazione
si viveva in Italia. Era facile entrare nei manicomi, difficile uscirne,
difficilissimo uscirne stando meglio di quando si era entrati.
Fino
all’arrivo di Basaglia (e di altri come lui).
A Franco Basaglia,
psichiatra, si deve una delle più importanti rivoluzioni in ambito
medico del secolo scorso.
La
storia è più o meno nota a tutti e si sviluppa principalmente negli
anni ’70: grazie alle idee innovative di Basaglia e a una coscienza
civile più attenta, in Italia vengono chiusi i manicomi. E poco dopo il
maggio 1978 con la legge 180 arriva legge 833 (alla fine di quell’anno)
che istituisce il Sistema sanitario nazionale e che recepisce la
180. Il nostro racconto parte da qui, per raccontare quello che c’è
oggi.
Lo facciamo insieme a Paolo Lombardini,
direttore del Servizio psichiatrico di Diagnosi e Cura dell’ospedale
Agnelli di Pinerolo, al momento anche responsabile per i servizi
territoriali di salute mentale di Pinerolo, Torre Pellice, Villar Perosa
e Orbassano (quest’ultimo però orbita sull’ospedale San Luigi Gonzaga
di Orbassano). «Il nostro reparto è una sorta di biglietto da visita per
le persone che hanno bisogno di questo tipo di cure – dice –. Noi
interveniamo nella fase più acuta, spesso gli utenti transitano dal
Pronto Soccorso e arrivano da noi; dopo la fase più difficile inizia un
percorso assieme agli ambulatori sul territorio per la cura del
problema. Perché è importante capire che i nostri pazienti sono
assimilabili agli altri di altri reparti e possono tranquillamente
condurre una vita “normale”, nelle proprie abitazioni; in più ci sono
anche altre strutture come le case protette o i gruppi appartamento».
Questo
processo parte da lontano, anche dall’inserimento, con i lavori di
ristrutturazione terminati nell’agosto del 2017, del reparto di
Psichiatria nella struttura principale dell’Agnelli. «Prima dei lavori
il reparto era un corpo a sé stante, in una palazzina staccata
dall’ospedale, ed era sentito con un qualcosa di diverso rispetto agli
altri reparti presenti nel corpo centrale dell'ospedale Civile.
Anche
gli interni non erano confortevoli con camere a tre letti e soltanto due
bagni in comune. Oggi abbiamo solo stanze doppie e alcune singole,
tutte con bagno e due grandi spazi comuni"
Ma
il reparto rimane ancora chiuso mentre in altri ospedali ci sono
esperienze di “reparti aperti”. «Sì, è vero, da noi le porte sono chiuse
a chiave per la sicurezza degli utenti. Questo non vuol dire che non si
possa entrare e uscire. Anzi. In tempo non-Covid il rapporto con le
persone esterne, famigliari, è molto importante, così come le uscite dal
reparto, naturalmente valutate di caso in caso con l’équipe
sanitaria».Nel corso degli anni i numeri dei ricoverati sono cresciuti
anche perché è aumentata la capienza del reparto. «Nel 2016 abbiamo
avuto 286 accessi, nel 2019 345, a cui vanno aggiunti altri 200/300 che
seguiamo in collaborazione con il Pronto Soccorso per brevi periodi di
osservazione e poi affidiamo alle cure del territorio. Nel 2020 invece
abbiamo avuto una flessione: 271. Questo perché i nostri pazienti si
sono comportati come gli altri, utilizzando il meno possibile il Pronto
Soccorso e i servizi sanitari in genere. Con questo però non vo- glio
dire che siano diminuiti i problemi. Anzi. Abbiamo notato che negli
ultimi anni si sono ridotte le patologie psicotiche croniche e sono
aumentati i disturbi della personalità, soprattutto fra i giovani: c’è
una grave difficoltà a relazionarsi con il mondo e con gli
altri». Chiediamo infine a Lombardini se abbia o meno un sogno nel
cassetto. «Non uno ma tre! Dopo circa trent’anni di questo lavoro posso
dire che vorrei vedere ulteriormente potenziato il rapporto fra reparto e
territorio; in secondo luogo ritengo fondamentale una relazione più
stretta con gli altri reparti dell’ospedale Agnelli e infine penso e
vorrei incentivare l’apertura verso l’esterno della Psichiatria, verso, a
esempio, le attività di volontariato con cui in passato abbiamo avuto
delle esperienze positive».
L'Eco delle Valli Valdesi 4/2021