giovedì 15 aprile 2021

I desaparecidos sepolti nelle galere del regime

In principio era la rivoluzione e la rivoluzione era il popolo, era la non ancora ventenne Wafa Ali Mustafa, era suo padre Ali Mustafa, inabissatosi in una delle mille segrete siriane il 2 luglio del 2013, poche settimane prima che la ritrosia di Obama a punire l'attacco chimico a Ghouta consegnasse di fatto la vittoria ad Assad. «La cultura della protesta mi era  famigliare, sin da bimba papà mi portava in piazza per i palestinesi, il 2011 non fu per noi questione di scelta di campo, fu la consapevolezza che il cambiamento stava iniziando e dovevamo esserci» racconta dalla Berlino dove, come ogni anno, ha manifestato ieri per la liberazione del padre, per il Paese, per la verità storica. Wafa ha visto i primi cortei pacifici e privi di invocazioni religiose, che chi scrive può testimoniare in prima persona, ha visto il sangue, la rovina, ha visto suo padre confortarla ancora una volta prima di sparire. Ha visto l'esilio, la Turchia, la Germania della rinascita. Ha portato, epica nell'assuefazione globale che tutto annacqua, le foto del padre e di altri 60 desaparecidos siriani davanti al tribunale tedesco che, pioniere del diritto, ha processato due aguzzini di Assad (Eyad al Gharib é stato condannato per complicità in crimini contro l'umanità e Anwar Raslan si avvia alla medesima sorte). Non sa se rivedrà suo padre, ma tira dritto. Oggi come ieri non è questione di scelta di campo, secondo l'ultimo rapporto Onu i desaparecidos siriani sono decine di migliaia.
Francesca Paci
La Stampa 15 marzo