Magistrati tra sfiducia e correnti viaggio dentro la giustizia in crisi
Nei tribunali chiusi dal Covid, da Milano a Palermo, molti magistrati confessano di sentirsi «disillusi», «demotivati», «sconfortati». In passato la giustizia italiana ha superato scandali molto peggiori del caso di Luca Palamara, l’ex capo- corrente di Unicost accusato di corruzione e intercettato mentre trattava le nomine giudiziarie con politici indagati. Ci sono stati giudici incriminati per mafia, abusi o corruzioni miliardarie. Ma l’istituzione resisteva, i colleghi reagivano con arresti e condanne delle toghe sporche.
Oggi la magistratura attraversa una crisi senza precedenti. Perché è una crisi interna. Grave. Di rappresentanza e di credibilità. Amplificata dallo sfascio del sistema legale e processuale, che esaspera i cittadini. Per capire le ragioni della crisi, l’Espresso (nel numero in edicola da domani con Repubblica) si è rivolto a otto protagonisti della storia giudiziaria: Gian Carlo Caselli, Armando Spataro, Giuliano Turone, Giuseppe Di Lello, Laura Bertolé Viale, Alessandra Cerreti, l’avvocato Guido Calvi e Gustavo Zagrebelsky, ex presidente della Corte Costituzionale. Tutti denunciano la degenerazione delle correnti, nate con una forte carica ideale negli anni della lotta al terrorismo, mafia e corruzione, ma ora ridotte a centri di spartizione delle cariche.
L’ex procuratore Caselli è preoccupato: «Con lodevoli eccezioni, oggi la magistratura è un corpo culturalmente indebolito, tramortito da crisi di efficienza e credibilità. Lo scenario è cupo: un processo farraginoso, con tempi e costi che generano sfiducia; martellanti campagne mediatiche; personalismi e polemiche tra magistrati; un crescente rifiuto del processo... Qualche parte politica ostile cercherà sicuramente di approfittarne per attaccare l’indipendenza della magistratura». Armando Spataro osserva che «un senso di crisi covava da tempo, ma si è accentuato con il caso Palamara e soprattutto con l’impatto mediatico del suo libro, utilizzato per attaccare tutta la magistratura. Bisogna reagire con durezza. E con la massima trasparenza».
Paolo Biondani, La Repubblica 24 aprile