mercoledì 29 settembre 2021

La febbre alta delle città

 

Eccola dunque arrivata nelle nostre città, l'emergenza climatica. Nonostante da decenni gli scienziati ci avessero messi in guardia, abbiamo preferito pensare che l'innalzamento delle temperature e i conseguenti disastri ambientali ed economici non ci avrebbero riguardato.

Abbiamo relegato l'effetto serra a lande desolate come i Poli, a luoghi rigogliosi ma lontanissimi, e comunque disabitati, come l'Amazzonia. Poi però il cerchio, di fuoco, siccità e alluvioni improvvise, ha iniziato a stringersi intorno al nostro piccolo mondo antico, pieno di illusori comfort: gli incendi australiani e californiani, le ondate di gelo in Texas, le piogge torrenziali in Germania e Belgio, fino ai 48,8 gradi dell'agosto scorso in provincia di Siracusa.

Oggi il rapporto del Centro euromediterraneo per i cambiamenti climatici spazza via definitivamente qualsiasi dubbio: le principali città italiane rischiano uno shock termico (2 gradi in più rispetto alla temperatura media), ondate di calore, eventi meteo estremi e allagamenti. Non sono certo buone notizie, ma proprio per la loro concreta drammaticità potrebbero innescare il tanto atteso cambio di marcia.

Il global warming è stato percepito come una minaccia lontana nello spazio e nel tempo. Un meccanismo psicologico ben noto ai medici che studiano e curano le dipendenze: chi fuma, per esempio, non ignora certo i danni da tabacco, ma spera che non tocchi a lui e che comunque ci vogliano decenni prima di doversi preoccupare delle conseguenze.

Con il clima è accaduto lo stesso: generazioni di politici hanno preferito ignorare il problema e lasciarlo in eredità ai posteri. D'altra parte, chi metterebbe a rischio la propria rielezione tra cinque anni per contrastare, con misure impopolari, un fenomeno che forse, chissà, si manifesterà alla fine del secolo?

E però la febbre della Terra è salita tanto da non poter essere più ignorata. L'emergenza climatica è qui e ora, nel cuore dell'Europa e delle nostre città, come conferma l'analisi del Cmcc. E il fatto che le previsioni si concentrino su Bologna, Milano, Napoli, Roma, Torino e Venezia le rende quanto mai reali. Lo scenario non è più quello dell'iceberg alla deriva nei mari del Sud, delle esotiche barriere coralline che scolorano, dei mari che innalzandosi inghiottono le isolette del Pacifico. Qui si parla delle piazze, dei vicoli, dei monumenti che frequentiamo ogni giorno. E allora forse, di fronte al rischio di un'Italia sconvolta dal riscaldamento globale, amministratori locali e nazionali, anche quelli finora più scettici, comprenderanno che è venuto il momento di agire. C'è ancora (poco) tempo per farlo e limitare i danni. E ci sono le competenze e le tecnologie.

Spesso si paragona l'emergenza climatica alla pandemia: un fenomeno globale che ha richiesto uno sforzo collettivo e planetario per essere contrastato. La politica, in Italia come negli altri Paesi, ha preso decisioni da tempo di guerra spinta dai drammatici bollettini quotidiani di ricoverati, intubati, deceduti. E grazie ai lockdown, al distanziamento e ai vaccini si sta tornando alla normalità.

La dinamica dell'effetto serra è però assai diversa: la CO 2 che immettiamo oggi nell'atmosfera continuerà a esercitare il suo potere riscaldante per decine o centinaia di anni, così come l'innalzamento attuale delle temperature è da ricondurre alle molecole di anidride carbonica emesse dall'inizio della Rivoluzione industriale a oggi. Per questo non si può pensare di iniziare ad agire contro l'emergenza climatica quando sarà diventata anche una emergenza sanitaria e umanitaria. Occorre farlo qui e ora, prima che salga davvero la febbre delle nostre città.

 

Luca Fraioli, La Repubblica 21 settembre