martedì 23 novembre 2021

COP26: UN INIZIO TROPPO TIEPIDO

Cosa è rimasto della Cop26 sul clima?

Cinque cose ottenute, cinque mancate

Il vertice Cop26 di Glasgow che si è chiuso sabato sera è stato una corsa forsennata e insieme lentissima. Tutti noi che eravamo lì abbiamo usato la metafora della riunione di Condominio globale, perché risuona tanto a noi italiani e va bene così. Un altro modo per vederla è che Cop26 è un processo di pace, sia tra nazioni che tra le nazioni e la Terra. Come è andata, dunque? Ecco le cinque cose che Cop26 ci ha dato.

L’elefante nella stanza

Le conferenze delle parti sul clima non erano mai riuscite a menzionare la causa principale della crisi climatica: le fonti fossili di energia. L'accordo di Parigi, frutto della Cop21, ci dava un obiettivo (contenere l'aumento di temperature tra 2°C e 1,5°C), ci dava un orizzonte per poter dire di averlo raggiunto (l'abbattimento delle emissioni di gas serra), ma non diceva come si abbattono le emissioni per fermare il
riscaldamento globale.

Cop26 ha visualizzato l'elefante nella stanza. Il colpo di mano finale dell’India sul carbone ha attenuato la soddisfazione, ma il risultato è comunque storico. L’impegno a fare un phase down del carbone (non un phase out, purtroppo) e la prospettiva di un'eliminazione globale dei sussidi alle fonti fossili sono una vittoria. Non piena come avremmo sperato, ma una vittoria.

Tabelle migliori per sapere quanto siamo vicini a precipizio.

La Cop26 ha finalizzato una cosa chiamata Enhanced Transparency Framework, regole comuni e verificabili di trasparenza nel contare le emissioni di gas serra. Una vittoria esistenziale.

Dall'accordo di Parigi non erano mai stati stabiliti degli standard sui report delle emissioni, ognuno faceva a
modo proprio e veniva così lasciato un margine pericoloso per le manomissioni, soprattutto tra le somme (le emissioni) e le sottrazioni (gli assorbimenti). Ora ogni paese dovrà pubblicare ogni due anni un inventario di gas serra, con tabelle comuni, divise per gas e settori, monitorando anche gli impegni presi rispetto alle emissioni effettive, tutto sotto controllo di Unfccc (United Nations Framework Convention on Climate Change). Questo ci permette di sapere a che punto siamo nel processo di decarbonizzazione.

Giungla di carbonio

I mercati di carbonio servono a scambiare i permessi per inquinare tra i paesi. Se ne occupa il famoso articolo 6 del libro delle regole dell'accordo di Parigi, che non era mai stato finalizzato. Chi ha più emissioni compra questi crediti da chi ne ha meno, e si possono anche scambiare sul libero mercato.

Finora era una giungla piena di manipolazioni, ora non diventa un mercato perfetto e virtuoso, ma almeno Cop26 ha visto la nascita di un sistema di regole per gli scambi bilaterali e per quelli nella cornice Onu, aprendo a un mercato da 100 miliardi di dollari che può fornire anche risorse per le transizioni ecologiche ed energetiche. Ci sono ancora dubbi su quanto possa funzionare il nuovo sistema, soprattutto perché non impedisce che sul mercato arrivino crediti zombie di vecchi accordi (come il protocollo di Kyoto), che non rappresentano ormai più nessun risparmio di emissioni.

Distensione climatica

L'accordo Usa-Cina della seconda settimana di Cop26 è l’inizio di una distensione climatica paragonabile agli accordi di non proliferazione delle armi nucleari.

Per tutta la prima parte del vertice, la Cina ha dato l’impressione di sabotare Cop26 e lavorare dietro le quinte per perseguire i suoi obiettivi geopolitici (spaccare il fronte tra Regno Unito, Europa e Usa da una parte, resto del mondo dall'altra).
Poi è arrivato il dialogo tra i due inviati per il clima: Cina e Stati Uniti - insieme ben più di un terzo del problema clima -iniziano a lavorare insieme.

I contenuti sono ancora fumosi, ma in questo caso è il segnale che conta.

Il metano

A proposito di metano, Cop26 ha contribuito a metterlo
al centro dell'azione per il clima, ed è un'ottima, ottima idea. Il metano è un gas 80 volte più potente della CO2, ma dura soltanto vent'anni nell'atmosfera. La combinazione di questi due fattori significa che abbattere le emissioni di metano permette di raggiungere risultati importanti in poco tempo.
Il Global Methane Pledge è stato siglato a margine del processo negoziale è l’impegno di oltre cento paesi (poi c’è da contare la Cina, per la dichiarazione bilaterale di cui sopra) a ridurre le emissioni di metano del 30 per cento entro il 2030: potrebbe valere un rallentamento del riscaldamento globale di 0.2° C. Poi ci sono le cinque cose che Cop26 non ci ha dato.

Il sogno 1.5° C

Cop26 non ci ha ancora dato la cosa più importante: noi esseri umani per vivere, prosperare ed essere al sicuro abbiamo bisogno che la temperatura salga di non più di 1.5°C entro fine secolo.

Sembra pedante ripeterlo, ma è così. Dopo Glasgow, siamo ancora lontani. L'obiettivo dichiarato del vertice era tenere questo sogno ancora vivo. È ancora vivo? È ancora vivo. Sta bene? Climate Action Tracker punta la traiettoria reale a 2.4° C, che va malissimo.

Gli impegni nazionali sono ancora deboli, ed è questo il problema vero. Al di là di tutte le intese, i meccanismi, i fondi, quello che conta è quello che fanno le nazioni, e su questo fronte non c'è stato il cambio di passo che servirebbe.

Solidarietà di facciata

Cop26 non ha prodotto alcuna vera solidarietà tra le nazioni sul fatto che solo alcune nazioni della Terra (diciamo una ventina) hanno causato la crisi climatica.

O meglio, la solidarietà c’è ma è molto di facciata.

La questione della finanza per il clima è stata sollevata come non mai, ma è stato tema di dibattito molto più che di azione. È Come se centinaia di paesi vulnerabili (il Kenya non è vulnerabile come le Isole Marshall che non sono vulnerabili come il Perù) avessero presentato il conto. Europa e Stati Uniti però si sono voltati dall'altra parte, ancora una volta non hanno voluto prendere impegni netti e verificabili sui soldi per mitigazione, adattamento e loss and damage.


Chỉ paga

Ecco, il loss and damage, i danni e le perdite. Sul clima c’è uno spettro di cose da fare. La prima è la mitigazione, ridurre le emissioni per evitare che il clima si rompa più di come non è già rotto. La seconda è l'adattamento, prepararci a tutte le volte che il clima romperà noi. La terza sono i danni e le perdite, cioè pagare per tutto quello che il clima ha già rotto delle nostre vite. Prima di Cop26 sembrava un orizzonte ancora molto astratto, ora le riparazioni climatiche sono al centro della conversazione, ed è già un risultato. È troppo poco, però, per chi sta già annegando. I paesi vulnerabili chiedevano un meccanismo declinato al tempo presente e non a quello futuro, e non
lo hanno ottenuto.


Giustizia climatica

Cop26 è stata la conferenza sul clima più politica di sempre: si scrive clima, si legge ingiustizia. L'ingiustizia di chi ha consumato quasi tutto il budget di carbonio a disposizione dell'umanità (Nord America, Europa, Giappone, Corea del Sud), cioè circa l'86 per cento, e tutti gli altri.

L'ingiustizia patita da chi questa crisi non l’ha causata e deve subirla, confrontandosi con un'altra emergenza in contemporanea, cioè la pandemia, e deve farlo soffocato dal nodo del debito. Eppure, tutti questi temi non hanno avuto nessun vero versante operativo: qui davvero è stato solo bla bla bla.

E l'agricoltura? E l’acqua?

La difficoltà nel trovare una strategia per ridurre le emissioni di CO2 dal gigantesco settore energia purtroppo ha fatto finire sotto traccia a Cop26 altri temi cruciali. Nel grande accordo sulla deforestazione (davvero importante, vasto, solido) non c’è un riferimento chiaro a come le nostre diete impattano sulle foreste (tantissimo) e come moderare questo impatto.

Il cibo rappresenta il 25 per cento delle emissioni, più o meno come la Cina. Della Cina però si è parlato tanto, del cibo poco. Tre esseri umani su dieci non hanno accesso a un'acqua sicura, è un enorme problema di adattamento climatico, ma a Cop26 era ai margini (come tutto il discorso sull'adattamento).


Ferdinando Cotugno, Domani 17 novembre