martedì 7 dicembre 2021

DIRITTI E DOVERI

 La stagione dei diritti e la stagione dei doveri

La stagione che dall'ultimo dopoguerra si è aperta è quella dei diritti, dapprima dei diritti sociali - è questa la proposta più rilevante della Costituzione e della nascita del cosiddetto «Stato sociale» di matrice keynesiana -; poi di quelli soggettivi, che hanno man mano assunto il sopravvento. Le spinte di carattere sociale che fino agli anni Settanta del secolo scorso hanno contrassegnato la coscienza collettiva - dal ruolo assunto dal sindacato alle rivendicazioni dal basso dei lavoratori - sono diventati la bandiera di una lotta, che ha portato giustamente all'affermazione di diritti sacrosanti, che lo Statuto dei lavoratori ha fissato con precisione, operando una svolta decisiva nel cammino verso la salvaguardia e la promozione della dignità umana.

La crisi della politica che è immediatamente seguita a quegli anni, accentuata dal fenomeno del terrorismo, ha determinato la fine della spinta sociale e il ripiegamento dell'individuo su se stesso, con l’emergere in positivo di bisogni e desideri legati alla sfera della soggettività, grazie al contributo di movimenti - in primo luogo quello femminista -i quali hanno concorso a dare spazio a tematiche come il valore delle diversità e la ricerca della felicità; ma anche con la caduta nell'autoreferenzialità che ha favorito forme di privatizzazione con gravi ricadute negative sugli sviluppi della vita collettiva.

A venire dimenticati o accantonati sono stati, per lungo tempo, i doveri, che pure altro non sono che l'altra faccia dei diritti, indissolubilmente ad essi connessa: quello che rivendico come diritto è infatti, a sua volta, dovere per me verso gli altri. Questa stretta interdipendenza non è stata avvertita e tanto meno praticata, al punto di affievolirsi fino a venir meno nelle coscienze. La rivendicazione dei diritti, così come è avvenuta tanto sul piano sociale che su quello individuale si è unilateralmente sviluppata prescindendo dall'assunzione dei corrispettivi doveri, alimentando una mentalità fatta esclusivamente di pretese nei confronti delle istituzioni pubbliche, senza mai porsi il problema di che cosa andasse offerto ad esse in ricambio.

Le vie da percorrere per uscire dalla crisi

Molti e di natura diversa sono i passi che vanno fatti per uscire dall'attuale deriva. Alcuni riguardano in generale i modelli culturali dominanti; altri sono più strettamente connessi alla specificità del «caso italiano». Sul primo versante - quello dei modelli culturali dominanti - fondamentale è la ridefinizione dei contenuti di termini come coscienza, libertà e responsabilità. Di primaria importanza è anzitutto il ricupero di una concezione positiva della coscienza, cui va riconosciuta una vera originarietà, e dunque una precisa autonomia (sia pure limitata) rispetto ai condizionamenti che essa inevitabilmente subisce. Ma che deve soprattutto essere fatta uscire dalle secche di una interpretazione rigidamente individualista per acquisire una dimensione relazionale e sociale. A sua volta, la possibilità di esercizio della libertà va rivendicata con forza, sia pure riconoscendo che si tratta di libertà «situata» perciò parzialmente condizionata, la quale non può tuttavia identificarsi con una sorta di arbitrio individuale e che deve essere concepita come «libertà per», cioè come libertà positiva che assume i connotati di responsabilità verso l'altro e verso la complessità delle situazioni.

Alla base di questa visione vi è un'antropologia relazionale, fondata su una concezione dell'uomo come persona (e non come individuo), dunque come soggetto di e in relazione, la cui autocomprensione e la cui autorealizzazione non possono avvenire se non in rapporto con l'altro (gli altri). L’alterità non è pertanto una realtà esterna e del tutto accidentale; è qualcosa che appartiene al soggetto come elemento costitutivo della sua identità.

La partecipazione attiva alla vita pubblica, che è dovere morale di ciascuno, comporta il «sentirsi parte» (a questo si allude quando si parla di appartenenza) e il «prender parte», l'offrire cioè il proprio contributo alla crescita comune. La possibilità che questo si verifichi è strettamente dipendente dalla ricostituzione di un ethos culturale condiviso; in una parola, di una piattaforma di valori civili, che cementino il tessuto sociale, fornendo l'alimento vitale alle coscienze; alimento che è garanzia di una convergenza attorno ad obiettivi comuni. La cultura dei doveri e della responsabilità è, in definitiva, la risultante di un processo complesso in cui entra in gioco la costruzione di una mentalità e di un costume, che possono prendere corpo solo laddove i valori dell'uguaglianza e della dignità personale (di ogni persona), della giustizia, della gratuità e della solidarietà divengono i criteri di riferimento delle scelte personali e sociali. A pochi giorni dal suo rapimento, in un famoso discorso al gruppo parlamentare della Democrazia cristiana, Aldo Moro ammoniva che, se alla stagione dei diritti non si fosse affiancata una stagione dei doveri, il futuro del nostro Paese sarebbe entrato in una situazione di grave pericolo. Quanto questa intuizione anticipatrice fosse vera è oggi sotto i nostri occhi!

Giannino Piana, Rocca 15 ottobre