Come previsto stravince Maduro. Ma va a votare solo il 41,8%
Claudia Fanti
Il Manifesto
23.11.2021
È stata una vittoria schiacciante quella riportata dal governo Maduro alle elezioni municipali e regionali di domenica in Venezuela. Il chavismo – o, come preferiscono definirlo i settori più critici della sinistra, il “madurismo” – si è affermato in 20 stati su 23, oltre che a Caracas, dove l’ex ministra dell’Interno Carmen Meléndez si è imposta con il 58,9% dei voti.
COME PREVISTO, l’opposizione, che è riuscita a conquistare solo Cojedes, Nueva Esparta e Zulia, benché quest’ultimo sia il più popoloso del Venezuela, ha pagato duramente la mancanza di unità: se si fosse presentata unita, avrebbe potuto giocarsi la vittoria in almeno altri tre stati. Ma, ancor di più, ha scontato il discredito provocato da tre anni di appelli a «restare a casa» e dalla lunga serie di fallimenti, scandali di corruzione e promesse mancate che hanno segnato la stagione del “governo per Internet” di Juan Guaidó.
Non
è da addebitare però solo alla rovinosa strategia dell’opposizione
la bassa affluenza registrata domenica: la partecipazione di appena
il 41,8% degli elettori è il segnale di una disaffezione politica
crescente che non può non investire anche il governo Maduro.
E
se il presidente ha ragione a ricondurre l’ennesima
vittoria alla «perseveranza»
e alla «rettitudine»
della militanza, ciò non assolve il governo da tutti i suoi limiti
ed errori: gli accordi di vertice con la borghesia, lo smantellamento
dei servizi pubblici, il burocraticismo, l’inefficienza
delle politiche in difesa dei settori più poveri, la concentrazione
di potere nell’esecutivo,
l’ingresso
di capitali privati in diversi settori chiave dell’economia.
E più in generale, l’abbandono
nei fatti di quel processo di transizione all’ecosocialismo
che era stato, pur nelle contraddizioni, il grande sogno di Chávez.
PERCHÉ
è di tutt’altro
che parlano la controversa Ley Antibloqueo, descritta da più parti
come uno strumento per una sotterranea privatizzazione delle risorse
del paese, e l’ancor
più criticato progetto di legge per la creazione di Zone economiche
speciali, le quali, quasi per definizione, finiscono per costituire
enclave estrattiviste sottratte al controllo dello stato.
Che
il governo non sembri disposto a porre freni al modello
estrattivista, lo dimostra del resto non solo la mancata rinuncia al
carbone, a cui si deve la contaminazione della Sierra de Perijá,
ma anche il rifiuto ad aderire all’accordo
globale per frenare la deforestazione firmato, alla Cop 26, da ben
124 paesi.
La vittoria di domenica, stavolta legittimata anche dalla partecipazione di tutto l’arco politico, oltre che dalla presenza degli osservatori elettorali (la missione della Ue riferirà oggi), rappresenta in ogni caso una bella boccata di ossigeno per il presidente Maduro, il quale ha esortato tutti, vincitori e sconfitti, a «rispettare i risultati» e a portare avanti il dialogo politico e «la riunificazione nazionale».
QUANTO ALL’OPPOSIZIONE, tra i pochissimi a commentare il risultato è stato il candidato a sindaco di Caracas per la Mud, la Mesa de la Unidad Democrática, Tomás Guanipa: «Dobbiamo riconoscere la necessità di cambiare la strategia seguita finora. La nostra sfida deve essere quella di stare con i cittadini, perché è innegabile che il paese vuole un cambiamento ed è per questo che dobbiamo lottare».