giovedì 24 marzo 2022

L'ISLAM E LA MODERNITA'

 Islam, riconoscere la modernità


Lorenzo Vidino
La Repubblica 10/3

Comprensibilmente offuscata dai drammatici eventi in Ucraina, si sta svolgendo in questi giorni in Lombardia una delicata fase della decennale e spinosa questione sulla gestione e rappresentanza dell'Islam italiano. Il problema risale all'inizio degli anni '90, quando lo Stato intraprese un dialogo con varie organizzazioni per arrivare a un riconoscimento ufficiale dell'Islam - de facto seconda religione d'Italia per numero di credenti - come avviene per altre fedi minoritarie nel nostro Paese. Da allora ogni governo, indipendentemente dal colore, si è scontrato con l'estrema frammentarietà dell'Islam nostrano e nella sua incapacità di fornire una leadership unitaria. Un problema aggiuntivo ma tutt'altro che secondario consiste nel fatto che molte delle sigle che si ergono a rappresentanti del neonato Islam italiano hanno radici storiche e legami organizzativi con l'Islam politico e sono, di conseguenza, portatori di un'ideologia che viene percepita da molti come problematica e incompatibile coi valori costituzionali.
La questione si propone in questi giorni allorché la Lombardia, regione con la più grande popolazione musulmana del Paese, decide chi debba rappresentare l'Islam nella neo-formata Consulta regionale per il dialogo interreligioso e il Comune di Milano a chi dare il permesso per la costruzione di una moschea in città. Come da copione, a candidarsi in alleanza tra loro sono soprattutto nomi e sigle dell'Islam politico che un'analisi anche da fonti aperte rivela avere due fondamentali difetti: non sono né così rappresentative delle comunità islamiche né così moderate come sostengono di essere.
Il difetto di rappresentatività è palese, in quanto solo una limitata minoranza dei circa quattrocentomila musulmani lombardi frequenta le loro moschee (e spesso chi lo fa lo fa per mancanza di alternative). Ma ancor più preoccupanti sono le posizioni che, dietro alla facciata di moderazione presentata negli incontri istituzionali, trapelano tra la leadership e nelle moschee legate a queste sigle. Capofila è l'Ucoii, il cui segretario nazionale Yassine Baradai nel 2020 affermò che cristianesimo ed ebraismo "sono un'eresia" e che "l'Islam viene per correggere gli storpiamenti apportati nelle sacre scritture residue (Torah e Vangelo)". Ci sono i turchi di Milli Görüs, legati a Erdogan e sotto osservazione come organizzazione estremista da parte dei servizi tedeschi. E gli sciiti del centro culturale Imam Ali, vicino al regime di Teheran.
Sigle importanti che non possono essere ignorate e ben aveva fatto nel 2017 l'allora ministro dell'Interno Marco Minniti a portare alcune di esse a firmare la Carta dei valori della cittadinanza e dell'integrazione. Ma un conto è stabilire un dialogo volto al confronto e al far accettare principi inviolabili del nostro ordinamento, un altro è legittimare attori problematici elevandoli a interlocutori privilegiati o addirittura consentendo loro di ampliare il proprio pulpito attraverso l'elargizione di terreni pubblici.
Sono queste dinamiche viste da decenni in altri Paesi europei quali Francia o Germania, dove si è ormai capito che gli attori dell'Islam politico sono portatori di tensioni e polarizzazioni sociali e che trattarli come moderati interlocutori è un errore importante che è stato di recente corretto. Il dialogo con loro va continuato, ma solo quando a livello istituzionale esiste una chiara visione delle loro posizioni e obiettivi (cosa che da noi esiste negli ambiti securitari ma che spesso non si estende a quelli politici) e quando il confronto non porta a una loro legittimazione e indebito rafforzamento. Non è una questione di Islam sì o Islam no: rifiutare la presenza musulmana nel nostro Paese è becero razzismo. Ma esiste un concreto interesse a non lasciare la leadership di una comunità che negli anni diventerà sempre più numerosa e che ormai vede un larghissimo numero di seconde generazioni in mano a una piccola ma molto ben organizzata minoranza portatrice di un'interpretazione dell'Islam politicizzata e lontana dalle più moderate tradizioni della maggior parte dei musulmani italiani.

Lorenzo Vidino è il direttore del Programma sull'Estremismo presso la George Washington University.