mercoledì 30 marzo 2022

PER UNA TEOLOGIA PUBBLICA ECUMENICA

prof. Marco dal Corso


Voler ricordare assieme a Turoldo e Balducci, anche la figura del pastore battista Martin Luther King a cinquant'anni dalla sua morte infine ci invita ad una terza conclusiva osservazione. La centralità dell'etica, così come il principio narrativo rischiano i non essere capace di sostenere il sogno, di coltivare la speranza se non diventano discorso pubblico.
Anche a prezzo della sua vita, Martin Luther King ha interpretato il suo sogno sul mondo come discorso pubblico. Per dare ragione della speranza allora, serve una teologia pubblica ecumenica. 
Capace di stare dentro il pluralismo di culture e fedi per non ridurre la religione a dimensione privata, ma anche per non diluire in un comune linguaggio "religiosamente corretto" la carica profetica delle religioni.
Capace di abitare lo spazio pubblico per tradurre il linguaggio religioso in una grammatica universale accessibile anche a chi non appartiene alla comunità confessionale, in vista di una società più giusta ed egualitaria.
Una teologia pubblica ecumenica che sa stare dentro il dibattito pubblico aiutando a costruire l'idea di cittadinanza quando essere cittadini, come ricorda Martin Luther King, è abbracciare lo statuto di umanità; una teologia pubblica ecumenica che collabora e dialoga con le scienze sociali, le culture e le religioni in maniera interdisciplinare e interreligiosa.
Ed infine una teologia pubblica ecumenica per aiutare i credenti a smettere di essere autoreferenziali, non scambiare la chiesa con il Regno, a non cedere alla tentazione del fondamentalismo o del discorso apologetico.
Alla scuola di Martin Luther King, la teologia pubblica ecumenica anche per noi oggi è quella fatta nello stile della parresia cercando sempre la verità delle cose, parlando quando altri si calano, chiedendo l'impossibile pure accentando il provvisorio. Quella interpretata secondo il principio di eternità, capace di educare alla convivenza, difendendo il diritto anche delle altre comunità, sostenendo la laicità come luogo di dialogo. Una teologia a vocazione kenotica, perché sceglie di vedere le cose a partire dei poveri, accettando di non avere l'ultima parola, vivendo alle frontiere. Una teologia che non ha paura di fare proprio il paradigma pluralista, accettando il pluralismo non solo come de facto ma anche de iure come economia divina di salvezza, come luogo da cui ripensare le forme storiche delle religioni. Infine una teologia pubblica ecumenica che sappia dire e praticare il principio ospitalità: cercando la verità non assimilando l'altro, ma diventando  suo ospite, valorizzando esperienze di ospitalità tra persone di religione e cultura diversa, dando ragione del pensiero ospitale. Una teologia pubblica ecumenica che permetta un'esperienza cristiana e credente costruita sul carisma prima che sul potere, sul compassionevole prima che sul dogmatico, sul soteriologico prima che sul teologico, che permette l'esperienza di Dio prima che la sua spiegazione.