La guerra del 1384 nell’alta val Chisone
Piercarlo Pazè
Le guerre altrui (Afghanistan, Cecenia, Georgia, Ucraina) e le guerre dei nostri (Kosovo, Afghanistan, Libia, Iraq, Siria, Yemen) suggeriscono di guardare ogni tanto dalla parte delle vittime e non tifare solamente per uno dei fabbricanti di morte in competizione. Anche su questo la storia dovrebbe insegnare. Nel 1384 i cattivi erano gli abitanti dell’alta val Chisone (Pragelato, Usseaux, Fenestrelle e Mentoulles), dove era stato ferito lievemente un inquisitore venuto a cercare e processare i valdesi.
I buoni per punire quel crimine e riportare la legalità arruolarono e armarono le milizie e le spedirono a combattere la guerra giusta.
Per i cattivi fu la fine. Come è regola di ogni guerra non si distinse fra i valdesi – vera causa della guerra in quanto valdesi – e i non valdesi, e infatti anche oggi i presidenti e i generali quando muovono gli apparati e fanno sganciare la “moab” (la madre di tutte le bombe) o minacciano le atomiche tattiche sono assolutamente imparziali, le persone da inviare a miglior vita sono tutte uguali senza differenze di età, sesso o condizione. Un altro inquisitore tre anni dopo riassumerà così il successo della spedizione dell’ottobre 1384 in val Chisone: il suo collega «fece il suo officio e sterminò quelli di Pragelato».
E le vittime? I nomi e il numero degli uccisi non interessavano e non sono stati tramandati. Si conserverà memoria di una fuga per cercare scampo attraverso il vallone dell’Albergian verso la val San Martino. Le truppe si diedero alla razzia degli oggetti e del bestiame, i sopravvissuti emigrarono quasi tutti e la valle rimase pressoché deserta.
La guerra colpì anche gli interessi di chi l’aveva promossa, che per i decenni seguenti riuscì a spremere dalla valle entrate fiscali molto minori. Fare guerra non conviene neppure ai potenti