La parola diritti
Ma vi ricordate
quando si lottava per i diritti, ringraziando chi ci aveva aperto la strada?
Divorzio, aborto, contro le discriminazioni, la mafia, la pena di morte, il
sopruso, la censura, la fame, il Palazzo, l'omertà, la violenza, la tortura?
Le conquiste che
erano sempre soltanto un altro passo, perché i diritti erano un dovere, chi li
metteva in dubbio non stava esprimendo una «legittima opinione», che gli veniva
data grazie a quei diritti che si permetteva di disprezzare, non conquistava
plaudenti platee di anticonformisti in giacca e cravatta, ma verde. La rabbia
che montava era per gli indifferenti: allora non cerano gli agitatori
anti-sistema che combattono le lobby (dei gay, delle femministe, dei neri, dei
pacifisti, non importa, tutte lobby sono). E non era neppure arrivato il vero,
l'unico male di tutta la società: il cambiamento climatico. Per carità,
un'emergenza, ci mancherebbe, una giusta lotta, ma che non fa sparire tutti i
diritti per cui vale vivere. Come fai a vivere se il pianeta muore, per che
cosa lotti se non sei più vivo: certo, per avere il diritto a parlare devi
poterlo fare, chi lo nega? Solo che, accanto magari all'ultimo slogan (che non
cambia nulla se poi non rinunci a cellulari, vestiti e accessori tutti uguali
che sfruttano uomini che non vedi, detergenti e detersivi per cui l'acqua la butti
a litri, ma devi essere igienizzato) non c’è lo spazio per ricordarsi che vivere
non è solo esistere, che Pasolini non scrisse soltanto della scomparsa delle lucciole,
che si può tenere accesa l'indignazione per tutte le cause senza risultare
pedante e pesante, passatista e un po' lobbista? Perché io avverto un vuoto,
quando vedo tutti battersi il petto per aver usato un bicchiere di plastica vent'anni
fa e tacere se si parla di altri diritti meno alla moda. Dovrei saper urlare in
corsivo, forse.
Lara
Cardella (da “L’Espresso”, 10 luglio 2022)