sabato 6 agosto 2022

CHI E' IL PROSSIMO?


Racconta il Vangelo di Luca (10, 30-37) che un uomo, scendendo da Gerusalemme a Gerico cadde nelle mani dei banditi che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso un sacerdote scendeva per la medesima strada e, avendolo visto, passò oltre dalla parte opposta, lo stesso fece un levita che passò qualche tempo dopo, mentre un samaritano (che apparteneva alla tribù di Samaria, che i sacerdoti e i leviti consideravano eretica e di frequente fu da loro combattuta) "si fece prossimo" all'uomo che giaceva in terra e, senza neppure conoscerlo, gli fasciò le ferite, lo caricò sul proprio giumento e lo portò in una locanda, pregando l'albergatore di prendersi cura di lui e, dopo averlo compensato con due danari, gli disse che, se non fossero bastati, sarebbe stato rimborsato al suo ritorno.

Al termine della parabola, al Dottore della Legge che gli aveva chiesto "Chi è il mio prossimo?", Gesù risponde: "Chi di questi tre ti sembra si sia fatto prossimo a colui che è caduto nelle mani dei banditi?". Quello rispose: "Chi ha fatto misericordia a lui". Gesù gli disse: "Va' e anche tu fa' lo stesso".

Il prossimo, come ci suggerisce Enzo Bianchi in Raccontare l'amore. Parabole di uomini e donne (Rizzoli), non è chi ci sta davanti e magari neppure ci chiede soccorso. Il prossimo siamo noi quando "ci facciamo prossimi" alle condizioni di indigenza che sulla via possiamo incontrare. Ma allora, per incontrare il prossimo è necessario un decentramento dal proprio io, così da offrire all'altro quel soccorso che desidereremmo ricevere nelle sue condizioni. Apprendiamo così che il prossimo non è definito da una condizione o da una appartenenza, ma dalla nostra decisione di "renderci prossimi" all'altro, perché noi e l'altro abbiamo in comune quell'elemento essenziale che è l'appartenenza alla stessa umanità.

Per questo, come vuole la narrazione cristiana, nel giorno del Giudizio, come ci ricorda Paolo di Tarso nella Lettera ai Galati (3, 28): "Non c'è più ne giudeo né greco" e noi potremmo aggiungere: né ebreo, né musulmano, né buddista, né taoista, né laico, né cristiano, né agnostico, né ateo, perché saremo giudicati solo se ci "ci saremo fatti prossimo" dando da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, se avremo accolto gli stranieri, vestito gli ignudi, visitato i malati e i carcerati (Vangelo di Matteo 25, 35-36).

Se ne deduce che la salvezza, che magari non è nell'altro mondo, ma nell'accoglienza che noi riserviamo al prossimo in questo mondo, è per tutti a prescindere dalla diversità di religione e di cultura, di etnia, come lo è per il samaritano considerato "infedele" dal giudeo. Questo è il messaggio cardine dell'insegnamento di Gesù che non parla "ex cathedra", ma per “parabole" che, come ci ricorda Enzo Bianchi, è una forma discorsiva che vuol dire "parlare accanto (pará-bállo)", parlare vicino, parlare nella prossimità, “facendoci prossimo" alla comune umanità che ci affratella.

Umberto Galimberti, D Repubblica 30 luglio