Meloni, la leader di un partito a impronta maschilista
di PAOLO BERIZZI
Donna. Madre. Italiana. Cristiana.
È aspirante prima premier donna nella storia della Repubblica. Nell’intervista alla tv americana Fox News — già schierata su posizioni filo trumpiste — Giorgia Meloni si immagina già a palazzo Chigi («sarebbe un onore e un fardello»).
È innegabile che essere l’unica donna leader di un partito italiano — il primo, stando ai sondaggi — , è un punto di forza della capa di Fdi.
Ma è altrettanto evidente che dietro l’immagine-primato della donna-forte al comando c’è la contraddizione di guidare un partito da sempre ancorato a posizioni maschiliste. Che si ispira a una visione maschilista della società e raccoglie e reinterpreta il retaggio di una tradizione che ha sempre imposto e anteposto la figura dell’uomo (“la donna deve obbedire”, diceva Mussolini).
Poi c’è un secondo aspetto, non meno rilevante: le donne (poche) di Fdi. Amazzoni, pasionarie, “donne nere” — alcune. Sempre in seconda fila, dietro ai “patrioti”. Vediamo chi sono queste donne.
Una delle più esposte mediaticamente, da anni, è la senatrice-imprenditrice Daniela Santanché.
Delle sue attività extra-politica—locali (socia di Flavio Briatore), eventi e marketing, editoria — si sa. Ma è la politica il pallino della “Dani” (il nome della sua società). Inizia a metà anni ’90 come collaboratrice di La Russa. Nel 2008 è candidata premier per la Destra-Fiamma Tricolore di Storace. Dal 2017, in Fdi. Nel 2018 Santanché interviene al bar Magentino di Milano alla presentazione del libro “Radical chic” di Alessandro Catto. Accanto a lei, il “barone nero” Roberto Jonghi Lavarini — il capo della “lobby nera”, fondatore del movimento di estrema destra “Fare Fronte” — e Deborah Dell’Acqua, vice di Jonghi nel “Fronte”. Di quest’ultima, diremo tra poco.
Ecco Santanché anti-migranti: «Sono sempre stata una grande sostenitrice delle politiche delle differenze. Perché noi esseri umani, proprio per la nostra categoria, per le nostre caratteristiche, siamo unici». Subito le fa eco Jonghi, nel 2018 candidato con Fdi. Sentitelo. «Questa nostra battaglia deve essere razziale, razzista. Loro pensano ai diritti degli omosessuali e a sostituirci. Noi dobbiamo essere politicamente scorretti come lo è, grazie a Dio, Daniela Santanché. Se uno è negro è negro, se uno è bianco è bianco. Preoccupiamoci per la nostra razza. Questi radical chic ci vogliono tutti meticci e froci».
La terza del trio è Deborah Dell’Acqua, già ritratta in compagnia di Giorgia Meloni. Il suo “Fare Fronte” (suo e di Jonghi) porta voti a Fdi. Dell’Acqua rappresenta il partito in Municipio 7 e ha pure corso per la Regione Lombardia.
Ancora Milano. Una big è la deputata Paola Frassinetti. Un passato nel Fronte della Gioventù — è lei la dirigente milanese quando nel 1985, un camerata del gruppo, il terrorista Diego Macciò, viene ucciso ad Alessandria in un conflitto a fuoco ad un posto di blocco della polizia. Frassinetti va in piazza con i neonazisti di Lealtà Azione e nel 2012 organizza a Roma il convegno pro-Assad “Mediterraneo, un lago in fiamme”.
Della filiera rosa fanno parte, tra le altre, l’assessora all’Istruzione del Veneto Elena Donazzan, ribattezzata “faccetta nera”, habitué alle commemorazioni della XMas, e Gianfranca Tesauro, assessora a Cologno Monzese: nel 2020, in piena pandemia, spunta in un selfie mentre indossa la mascherina con la scritta “boia chi molla”.
Torino-Roma. È l’asse della carriera della giovane deputata Augusta Montaruli: come Meloni viene da Azione Giovani. In curriculum, gite a Predappio, tra celtiche e saluti romani. Altra “patriota” di rito meloniano è Chiara Colosimo, consigliera regionale del Lazio (Arianna Meloni, sorella di “Giorgia”, è capa della sua segreteria). «Facevo la cubista al Gilda», racconta in un’intervista a Mtv nel 2010. Il fuoco della politica, l’attività nella sede di Giovane Italia alla Garbatella — il quartiere di Meloni — dove “chi sbaglia fa le flessioni” e dove sul muro campeggia il volto del neonazista romeno Codreanu. L’intervista era sul sito della Colosimo, poi è stata rimossa. Che record “femminile” è quello rivendicato da Meloni a Fox News? Ragiona la storica e editrice Alessandra Kersevan: «Il fatto che un partito maschilista sia rappresentato da una donna è un segno dei tempi: anche a destra e all’estrema destra qualche barriera culturale è superata. Ma l’essere donna, di per sé, non è garanzia di buon governo. Ci sono donne che hanno governato e non lo hanno fatto meglio degli uomini: penso alla Thatcher o a Condoleezza Rice, due esempi occidentali. E intanto la condizione della donna nella nostra società è peggiorata». Meloni potrebbe riscattarla? «Lasciamo stare».
La Repubblica 7 agosto