martedì 23 agosto 2022

DISEGNARE FIORI DEL VUOTO

 Luigi Berzano

Tempi di Fraternità ago-sett.

Gesù era nel Tempio con molta gente che lo ascoltava. Alcuni scribi e farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio; la posero davanti a tutti e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. La legge di Mosè ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Ma, poiché insistevano nell'interrogarlo, egli si alzò e disse: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, continuava a scrivere. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch'io ti condanno; và e d'ora in poi non peccare più». (Vangelo di Giovanni, 8, 1ss).

Nella nostra lettura situazionista dei Vangeli questa pagina del vangelo di Giovanni è tra le più significative: il tono, il linguaggio, i gesti, gli attori e gli spettatori, il messaggio, gli imprevisti, il finale paradossale. La situazione è quella di una contesa e di un dialogo, che schiudono la porta di una più profonda comprensione della realtà.
Gesù agisce come un maestro illuminato d’Oriente. 
Era nel Tempio a Gerusalemme e stava parlando ai discepoli e a una folla quando, improvvisamente, irrompe una situazione concreta, urgente e apparentemente irrisolvibile. Gesù viene coinvolto in un tranello, obbligato a scegliere di fronte a un aut–aut.
 Qualunque cosa avesse detto, avrebbe commesso un'ingiustizia. Se avesse ordinato la lapidazione della donna sarebbe stato dalla parte della legge mosaica, ma si sarebbe reso partecipe di un omicidio e avrebbe avuto contro l'autorità romana, cui spettavano le sentenze capitali. 
Se l’avesse assolta avrebbe dimostrato un cuore compassionevole, ma avrebbe infranto la legge mosaica, proprio dentro il Tempio. Si trattava di un trabocchetto simile a quello della moneta con l'immagine di Cesare, come racconta il vangelo di Marco al capitolo 12.
«Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra». È l'unica occasione in tutto il Vangelo in cui Gesù scrive parole che nessuno ha mai conosciuto. Scrive per due volte, dando così importanza al gesto, ma senza dire che cosa scrive. Su questo scrivere in terra si sono sbizzarriti gli esegeti. 
 Scriveva i peccati degli accusatori? Scriveva il giudizio che avrebbe poi pronunciato. Tracciava linee sulla sabbia, pensando?
Lo scrittore Jisō Forzani definisce quei segni di Gesù fiori del vuoto, con allusione a quelle macchie arabescate che si vedono sulla retina degli occhi quando sono stanchi e malati. Per il giovane maestro della Galilea in quella contesa tutto è fiori del vuoto come quando non si sa più distinguere il risveglio dal dormiveglia, la realtà vera dalla realtà illusoria. Tutto è fiori del vuoto nel senso che tutto è allucinazione e illusione priva di valore, alternanza di giochi d'ombra e di luce. Gesù ha vissuto quella situazione per quello che era, traendo da essa il senso universale e unico della vita che ogni realtà contiene ed esprime. Solo così tutto è fiori del vuoto nel senso che è forma visibile della verità che continuamente scaturisce e si rigenera (Jisō Forzani in La pienezza del vuoto).
Gesù traccia per terra fiori del vuoto. Così facendo, fa di una situazione disperata senza via d'uscita un'occasione di risveglio, di misericordia, di apertura sconfinata. 
Trasforma una colpa, che rischiava di creare una catena di dolore e di odio in un niente: scioglie il nodo che pareva insolubile, mostrando che era solo un fiore tracciato nel vuoto. Fa questo senza fare nulla: non muove un dito, non prende partito, non separa il giusto dallo sbagliato.
 Ottempera sia alla legge che alla misericordia, senza fare assolutamente nulla. Ecco cosa vuol dire non fare: vuol dire non scegliere fra questo o quello, ma abbracciare tutto senza muovere un dito.
Alcuni studiosi considerano questa pagina un'aggiunta posteriore e apocrifa al vangelo di Giovanni che, tra l’altro, interrompe la sequenza del discorso di Gesù alla festa dei Tabernacoli. 
Essa, anche se di origini antiche, è stata inserita tardivamente nel quarto vangelo. Uno dei motivi probabili per questo tardivo inserimento è senza dubbio da ricercare nella facilità con cui Gesù perdona la donna adultera, che sarebbe stata difficile da conciliare con la dura disciplina penitenziale delle primitive comunità cristiane. 
La Chiesa latina la accolse per prima, già nella Vulgata di Girolamo, la Chiesa greca molto dopo. Ma, indipendentemente da quando e da chi è stata raccontata e scritta, rimane una delle più belle pagine dei vangeli, esemplare per la misura di Gesù tra il perdono alla peccatrice e il riconoscimento del peccato.
Qui sta il Gesù situazionista che dà modo di cogliere il cuore rivoluzionario del Pensiero divino: quello del perdono. Il perdono è la via aurea del messaggio evangelico, oltre la via del giudizio, della morale, della conoscenza, dei meriti acquisiti, delle pratiche religiose. Perdono è l’ultima parola di Gesù sulla croce. Negare il perdono è negare il Pensiero divino che si fa carne anche oggi nelle sue creature.
La donna accusata di adulterio è attrice e spettatrice di tutta la situazione nella quale dice solo due parole: Nessuno, Signore. Forse questo episodio è stato aggiunto a bella posta al Vangelo di Giovanni, chissà quanto tempo dopo la prima redazione. Grazie all'ignota mano che ha parlato di questi fiori del vuoto. Sarebbe stato un vero peccato se non lo avesse fatto.